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CHIAMATA IN APPELLO PER IL MONDO DELL'OLIVO E DELL'OLIO

Ci scrive Antonella Pinna: "L’olivicoltura italiana arriverà mai ad una svolta?"

17 novembre 2007 | T N

Carissimo Direttore

Nel leggere le tue parole (“Appello agli olivicoltori” 3/11/07) ho colto un senso di rabbia, di amarezza, ma anche di voglia di non lasciarsi trasportare da essa, perché ciò equivarrebbe ad arrendersi.
E credo che questo verbo sia assente dal tuo vocabolario.
Sentimenti, questi, che sono anche miei.
E’ noto a tutti che l’olivicoltura italiana versa in uno stato di grave crisi.
La crisi rappresenta una fase di depressione del ciclo economico - un suo rallentamento - ma indica, comunque, la vicinanza ad un punto di svolta, e quindi di un suo superamento, anche se non necessariamente positivo.
Ma se tale crisi ormai imperversa da decenni, senza che si sia fatto alcunché per contrastarla, il punto di svolta ci sarà? E, soprattutto, esso sarà positivo per chi?

Vedi, in qualsiasi settore economico (e non solo!) gli operatori fanno squadra e cercano di superare, tutti insieme, le difficoltà.
L’olivicoltura italiana arriverà mai ad una svolta?
Nutro forti dubbi in proposito, anche perché - a questo punto - non sono neppure convinta che l’agricoltura olivicola viva uno stato di crisi, in quanto la situazione è endemicamente e strutturalmente negativa, e di sbocchi non se ne intravedono.
In questo settore manca la volontà di fare squadra. Ognuno va per i fatti suoi. Come sempre, in ordine sparso. E, intanto, gli altri Paesi crescono, ci superano e ci sovrastano. E noi stiamo a guardare.
E i rappresentanti del mondo olivicolo come si muovono?
Poco e male.
Anche lì, lo sconforto è in agguato.

In qualunque altro settore il rappresentante viene strettamente controllato dal rappresentato e ciò lo induce ad agire bene. Altrimenti verrà sostituito con altri, più capaci.
Nel nostro settore non mi sembra che ci sia stato mai alcun serio controllo.
Infatti, a fronte di qualunque condotta, anche la più insipiente e miope, ognuno resta al proprio posto. Senza alcuna conseguenza. E allora perché cambiare, se a pochi pare che ciò importi? Tutti si lamentano. E lamentarsi è una costante di questo mondo. Ma lo è anche l’immobilismo, l’aspettare che siano altri a muoversi, a darsi da fare, in vista di una ricaduta strettamente personale .

Ritenevo che questa condotta fosse legata ai singoli territori, e invece no. Riguarda l’intera categoria e l’intero territorio.
Il tutto, nel silenzio assordante delle istituzioni nazionali.
E’ di queste ultime settimane la notizia della estromissione dell’olio d’oliva dall’elenco dei prodotti indicati come “salutari” in sede comunitaria.
Nel nostro paese non è successo niente. Come se la cosa non ci riguardasse.
Lo stesso si è verificato allorché l’olio è stato pure estromesso dai prodotti che possono avvalersi del marchio “made in Italy”.
Due provvedimenti che, da soli, avrebbero dovuto far insorgere Governo nazionale, associazioni di categoria e stampa. E invece, ancòra una volta, tutto è passato in sordina.
Non altrettanto è avvenuto allorché è stato ridotto il numero degli europarlamentari italiani. Qui si che il Governo è intervenuto, con forza, contro tale decisione: si trattava di lesa maestà.
Il resto non importa a nessuno.

Il ministro De Castro da qualche mese rilascia dichiarazioni sulla necessità che l’etichetta dell’olio riporti informazioni precise sul luogo di provenienza delle olive. Benissimo, richiesta sacrosanta. Ma il Ministro lo sa che la normativa comunitaria (Reg. CE 1019/02) vieta qualunque riferimento di questo tipo?
Bisognerebbe cambiare tale regolamento, sul quale la normazione nazionale si fonda. Non il contrario.
Trattandosi di competenza esclusiva dell’Ue in materia di etichetta avremo la forza per poterlo fare? E, soprattutto, ne avremo la volontà politica?
Il ministro è a conoscenza che i suoi Ispettori - poco coerentemente con la campagna di stampa del Ministro - sono molto solerti a “stanare “quelle piccole aziende che, improvvisamente, inseriscono in etichetta il luogo di produzione dell’olio contenuto nella bottiglia? E’ a conoscenza che essi contestano sanzioni per importi più che considerevoli contro di esse? Ciò è coerente con la allegata volontà di tutelare l’olio italiano, ampiamente ribadita dal Ministro?

Se è vero che ciò è previsto dalla legge (comunitaria), non si vede perché allora non si debba essere altrettanto solerti nel voler combattere le sofisticazioni e le frodi, in primis quelle delle grandi aziende.

E’ meglio chi adultera o chi, invece, vuole dare informazioni più dettagliate sul prodotto al consumatore; consumatore che – si badi bene – “per legge” non deve sapere nulla e “per legge” non deve essere informato di nulla sulla provenienza delle olive con cui si produce l’olio che acquista. Pena gravi sanzione pecuniarie nei confronti dell’informatore (di solito la piccola azienda artigiana, che non ha certo sponsorizzato regolamenti e direttive comunitari che avvantaggiano solo le multinazionali).

La ratio legis in materia di etichettatura dei prodotti dovrebbe essere rappresentata dalla tutela dei consumatori oppure di quelle aziende che, non volendo fornire troppe informazioni, continuano a fare quello che hanno sempre fatto?

Non sarebbe più opportuno impiegare le limitate risorse umane dell’Ispettorato Repressione Frodi per individuare coloro che, in etichetta, fanno dichiarazioni mendaci, truffando e danneggiando il consumatore?
Visto che anche la mia azienda è stata sanzionata ormai troppe volte per avere esattamente spiegato dove erano prodotte le olive, estratto ed imbottigliato l’olio, alla fine – mio malgrado – sono stata costretta a cambiare le etichette ed a renderle più generiche ed impalpabili.

La regola aurea, solennemente enunciata da un solerte ispettore “antifrode”, è la seguente: “meno si scrive e meno si sbaglia”.
Con buona pace della verità, della tutela della salute e delle persone oneste!

Con la stima e l’affetto di sempre.

Antonella Pinna


Bergamo, 15 novembre 2007



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