La voce dei lettori

IL MERCATO DEGLI OLI DI OLIVA IN GIAPPONE? HA LAVORATO MOLTO MEGLIO IL COI, MENO INCISIVE LE AZIONI DELL'ICE

Ecco un interessante scambio di opinioni tra Pasquale Di Lena e Massimo Occhinegro, con notizie e riferimenti accurati in merito a un'area di sensibile interesse. Fa parte della loro forma mentis andare in fondo alle cose. Giapponesi più informati

22 settembre 2007 | T N

Partiamo dal testo di Pasquale Di Lena, GIAPPONE: GLI SPAZI DI MERCATO PER I NOSTRI OLI EXTRA VERGINI DI OLIVA E I NOSTRI VINI CI SONO. BISOGNA SOLO SAPERLI CONQUISTARE, pubblicato lo scorso 8 settembre e disponibile al seguente link per chi non lo avesse letto:
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Alle annotazioni di Di Lena, sono seguite due lettere, una di condivisione e l'altra di non condivisione. Riportiamo però qui di seguito solo lo scambio di opinioni tra Pasquale Di Lena e Massimo Occhinegro, certamente utile a quanti, tra i vari lettori, vi sia il manifesto interesse nel comprendere il complesso scenario giapponese. Si tralascia, per questioni di brevità, il testo della lettera che ha dato spunto alle seguenti precisazioni, giusto per mettre in luce solo gli aspetti più salienti.

Ecco, per intanto, alcune brevi note di presentazione dei rispettivi protagonisti di tale dialogo virtuale.

Pasquale Di Lena, l'estensore dell'articolo, è stato tra l'altro il fondatore dell'associazione delle Città dell'olio, nonché segretario generale di Enoteca Italiana.

Massimo Occhinegro è tra i massimi esperti del mercato estero relativo agli oli di oliva e lavora come free lance per l'azienda Olearia Pantaleo di Monopoli.


LA REPLICA DI PASQUALE DI LENA

Gentilissimo Sig. Occhinegro,
nel ringraziarLa per l’attenzione posta al mio articolo e per saperLa lettore de “Il Teatro Naturale”, vengo a concordare con lei che ne so più di vino che di olio, essendomi occupato del primo per molti anni della mia vita professionale. Per non toccare la suscettibilità di chi vive, come Lei, il mercato giapponese o cura questo mercato per impegni istituzionali, ho messo le mani avanti iniziando il mio articolo così: “Un incontro, per quanto rappresentativo e intenso possa essere, come quello avuto con gli operatori giapponesi l’altra settimana ad Osaka, non ha, e non può avere, il significato di un sondaggio che raccoglie opinioni e giudizi su una particolare questione. Però, la prima impressione, per me, ha un suo particolare valore e, nel corso di questa mia lunga esperienza, difficilmente mi ha tradito”.

Poi ho proseguito dicendo che “la prima impressione che ho avuto è stata quella che i giapponesi hanno fame di informazioni e di certezze, conoscono bene la pasta italiana, ma sanno poco dei vini e, soprattutto, dell’olio, il prodotto che ha suscitato tante domande, in particolare fuori dal seminario, e grande interesse”. Che l’olio abbia suscitato tante domande glielo posso assicurare ed ho anche i testimoni che possono dimostrare questo. Se, sulla base della Sua esperienza, non è così, personalmente sono felice di essermi sbagliato, ma, può lo stesso concordare con me su “la necessità di programmare più incontri e di trasformare, attraverso incontri formativi come questi, gli stessi operatori a diventare divulgatori nel loro ristorante e sul loro territorio per diffondere una cultura e renderla base di scelte”, come pure sul fatto che “La comunicazione, come qualsiasi azione di promozione e di valorizzazione, ha significato se programmata e sviluppata con continuità”.
Devo pensare, ma è solo una mia supposizione visto che il Suo disaccordo con il mio scritto non è precisato, che l’ha colpita quando scrivo che “Una continuità che, evidentemente, è venuta meno….. l’attenzione per questo Paese, soprattutto da parte delle aziende”. Una affermazione che faceva riferimento soprattutto al vino che ha perso quote di mercato in questi anni e che solo lo scorso anno ha dato segni di ripresa. Ritornando all’olio, il prodotto che amo di più ed al quale ho dedicato una associazione nazionale, quella delle Città dell’Olio che nella metà degli anni ’90, subito dopo la sua costituzione nella mia Larino nel Molise, ha svolto una missione in Giappone,, guidata dall’allora presidente Antonimi, che ha portato in dono piante di olivo alla Città di Kobe, colpita da un tremendo terremoto. Atto ricordato dal vicesindaco di Kyoto alla delegazione italiana, guidata dal Console italiano e dai dirigenti della Fidal, in occasione della visita del 30 settembre u.s.
Ho continuato il mio scritto riportando altre impressioni che, credo, possono risultare utili per chi opera su quel mercato, visto che parlano del futuro dell’olio extravergine, soprattutto italiano,per la ricchezza della biodiversità olivicola, che è un patrimonio tutto nostro.
Sono ancora grato della Sua attenzione, che mi ha permesso di precisare ancor di più il mio pensiero e lo sarò ancor di più se vorrà farmi capire le ragioni del Suo disaccordo perché ciò mi permette di capire meglio e di apprendere da una fonte diretta di esperienza, che è la fonte più preziosa.
Con i miei auguri di buon lavoro e i miei migliori saluti

Pasquale Di Lena
Larino, 14.09.07




LA RISPOSTA DI MASSIMO OCCHINEGRO

Gent.mo Sig. Di Lena,
La ringrazio molto per aver risposto alla mia lettera di disaccordo. Occupandomi del settore oleario da diversi anni ed operando con diversi mercati del mondo è evidente che presti attenzione ad ogni articolo specie se riferito a mercati che conosco direttamente.

E’ evidente che leggendo apprendo sempre più e questo mi aiuta ad operare nel settore nel migliore dei modi.

In più considerando che personalmente sono partito da zero nel comparto, pur avendo un ottimo background di economia, ho notato sempre una disinformazione tanto in Italia quanto all’estero a proposito di olio di oliva.
Una delle disinformazioni più marcate che ho dovuto contrastare nel tempo, statistiche alla mano era quella che la Toscana fosse la prima regione italiana produttrice di olio. Sentirselo dire per un pugliese è il massimo!

Un’altra disinformazione , e qui mi ricollego al suo articolo ed alla sua richiesta di chiarimenti, è che l’Italia e con essa le aziende italiane siano “al palo” e che non abbiano o non sappiano sfruttare le opportunità concesse dal mercato giapponese.

Spesso mi capita di leggere articoli sul mercato giapponese dove non c’è alcun riferimento al fatto che il primo esportatore di olio di oliva al mondo in Giappone sia un’azienda italiana , naturalmente al 100%, che è quella per cui opero come free lance.

Essere primi esportatori mondiali significa che nel mercato dell’olio confezionato in Giappone si ha oltre il 30% delle quote di mercato del retail. Al secondo posto (al primo per l’olio di oliva normale) c’è l’Ajinomoto, azienda nipponica che peraltro ha acquisito da un paio d’anni il terzo marchio (italiano) presente nel mercato (solo ed esclusivamente per il Giappone)

Il secondo marchio giapponese però compra l’olio sfuso dalla Spagna e lo confeziona in Giappone, così come oggi avviene anche per il terzo almeno in grande misura da quello che mi risulta. Agli ultimissimi posti (ma non figurano nei dati di mercato) ci sono Bertolli, Carapelli ed altri marchi noti.

In merito alla curiosità dimostrata dagli operatori giapponesi, confermo al 100%, pertanto non ho assolutamente bisogno di testimonianze ma sono d’accordo pienamente con lei. Fa parte della loro cultura e della loro forma mentis andare in fondo nelle cose e capire tutto ciò che non conoscono. Tuttavia a proposito di informazione, se lei ferma un centinaio di giapponesi a caso per strada, e domanda se conoscono l’olio di oliva ed ancora scende più nel dettaglio, scoprirà che in Giappone sono molto più informati di noi italiani. In particolare in Giappone apprezzano molto più che in Italia le caratteristiche note fruttate degli olii extra vergini rispetto ad un consumatore tipo italiano che invece le disprezza. Questo è un grande piacere per le aziende olearie serie che operano in questo magnifico mercato.

Pensi che hanno perfino fatto un quiz televisivo sull’olio, dove i concorrenti dovevano assaggiare gli olii e giudicarli (e si trattava di una trasmissione del nostro tipo nazional popolare) Inoltre la stessa televisione ha recentemente mandato in onda una “fiction” con il nome di Bambino! focalizzata sulla cucina italiana. La circostanza che il Giappone sia il Paese al mondo più longevo, (oggi gli over 65 rappresentano il 21% della popolazione) li fa accostare ai prodotti mediterranei perché salutistici, “trainando” gli olii di oliva.

Oggi il consumo pro-capite è di poco più di 100 ml e questo fa capire come effettivamente ancora oggi ci sia spazio in questo bel mercato (bello come la rosa). Bello si come la rosa ma con le spine. Le spine sono rappresentate dalla maniaca ricerca della qualità in senso lato, non comprendendo solo il prodotto in senso stretto ma anche gli aspetti che per noi italiani appaiono, ancora oggi banali (qualità del packaging in genere). Questa circostanza rende il compito per le imprese italiane che vogliano esportare molto difficile , considerando la mentalità prevalente.
Lei pensi che quando un consumatore giapponese desidera portarsi a casa un pacco di pasta, quando è al supermercato prima lo vede in trasparenza. Se per caso nella busta trasparente all’altezza della chiusura ci fosse un piccolissimo pezzo di pasta, il prodotto verrebbe scartato giacchè sicuramente è entrata aria nel pacco di pasta. E mi fermo qui.

Giustamente lei, provenendo dal Molise ha portato avanti come sponsor, l’esempio della pasta la Molisana o dell’olio Colavita, sostenendo che si tratta di una delle poche aziende ancora italiane e non spagnole. Ma Sig. Di Lena, di aziende che operano e che sono italiane al 100% ce ne sono ancora tante. Il fatto che la Carapelli o la Sasso o la Bertolli (queste ultime già da tempo non italiane) siano oggi spagnole o di altra nazionalità è motivo sicuramente di rammarico per chi vuole l’affermazione del made in Italy nel mondo, ma non ci deve far pensare che non ci siano in Italia tante aziende italiane valide (penso anche alla Monini o alla Farchioni e ad altre)

Quindi spazi sicuramente ce ne sarebbero, così come ce ne sono nel mondo intero, solo pensando a quelli che sono i nostri consumi pro-capite di olio forse un domani, dovendo coprire i fabbisogni della popolazione cinese o indiana, non basterà la produzione mondiale, ma onestamente io a questa proporzione non ci credo.
Per quanto concerne l’ICE personalmente non ho mai assistito alla affermazioni di aziende o marchi italiani nel mondo grazie alla spinta dell’ICE così come di altre istituzioni simili.

Molti operatori stranieri, invitati dall’Ice vengono ad esempio in Italia a qualche fiera, solo perché hanno vitto ed alloggio rimborsato, glielo posso garantire.
Gli interventi del COI, invece sono stati in passato molto più incisivi ed hanno aiutato il prodotto olio ad essere divulgato ed apprezzato nei Paesi in cui sono state fatte nel tempo le attività promozionali nel senso di attività divulgative.

Sperando di essere stato sufficientemente chiaro desidero ringraziarla per l’attenzione, mi scuso con Lei per la critica anche se ho apprezzato molto la premessa al suo articolo.

Le auguro buon lavoro e le mando i miei migliori saluti.

P.S. per quanto riguarda i vini, non so se è vero, ma mi hanno spiegato in Giappone che i prezzi dei nostri vini sono eccessivi rispetto a quelli dei numerosi competitors mondiali che lì esportano. L’immagine non basta.

Massimo Occhinegro
14/09/2007


PASQUALE DI LENA

Egregio Sig. Occhinegro,
ho letto la sua gentile risposta alla mia email dell’altro giorno e ho provato piacere ed interesse per un’analisi puntuale ed attenta del mercato e per riflessioni che mi trovano d’accordo.
In questo senso non sto a sottolineare i punti di incontro ma quelli, pochi, che mi servono per chiarire meglio il mio pensiero.
Sono contento di aver capito che quello che l’ha spinta a scrivere il suo disaccordo è il mio riferimento alle aziende che operano sul mercato giapponese, facendo intendere una loro incapacità di operare sul mercato. In verità non era e non è, nelle mie intenzioni dare un giudizio così riduttivo su chi opera, non da oggi, su quel mercato, soprattutto perché credo di conoscere il ruolo e l’impegno delle aziende nel campo dell’agroalimentare e dell’olio, in particolare.
Un ruolo ed un compito, soprattutto dell’industria, che apprezzo, particolarmente quando essa cerca di essere alla testa di un percorso, per me interessante, se non fondamentale, qual è quello della attenzione, oggi, all’origine della qualità, che può dare grandi risultati all’olio italiano.
So quanto bene ha fatto al vino il percorso, avviato nel 1963, della Doc e so anche quanta contrarietà ha trovato nella parte commerciale ed industriale della filiera vitivinicola, che, nel tempo, ha posto ostacoli sulla strada intrapresa, certamente per ragioni oggettive, ma, anche, per ragioni meno nobili che poi hanno portato al metanolo.
Oggi, per fortuna, non è più così, anche se vive ancora nel mondo del vino qualche “giapponese” che crede di essere sempre in guerra.
E’ per questo che mi sono esaltato nella presentazione di quattro oli dop ed una igp della Col avita S.p.A, una grande azienda italiana e, come me, molisana, che ha fatto una scelta non facile per come è oggi organizzata in Italia la filiera olivicola. Importante è che l’abbia fatta con grande convinzione e l’augurio è che questa scelta venga fatta anche dalle altre realtà industriali, soprattutto quelle ancora tutte italiane al 100% come lei scrive.
Sull’Ice non posso dare lo stesso giudizio negativo così netto come quello suo, perché ho lavorato bene, per lunghi anni, nel mondo a fare promozione a fianco di questo Istituto dove ho ancora tanti amici.
Credo, però, che ci sia la necessità di andare oltre l’Ice per un nuovo modo di essere e di operare sui mercati, nel segno della professionalità e della continuità.
Scrivo questa mia risposta con la fretta di un viaggio non previsto per il Veneto, rinviando ad altra occasione un approfondimento delle riflessioni poste.
La prego di scusarmi se mi fermo qui. Intanto grazie ancora dell’attenzione. Con i migliori saluti

Pasquale Di Lena
Larino, 18.09.07