La voce dei lettori

IL RISORGIMENTO DELL'OLIO ITALIANO / 8. IL "LUOGO DEDICATO"

Ci scrive Luigi Tega, una lunga lettera-documento in cui delinea il quadro della realtà, con alcune proposte per il rilancio del settore

24 marzo 2007 | T N

Gentile dott Caricato,
il suo invito a portare un proprio contributo alla causa dell’olio italiano è una iniziativa lodevole e meritevole di attenzione, tanto stimolante da non poter essere elusa e quindi aderisco, per quelle che sono le mie possibilità, al progetto “ Il Risorgimento dell’olio Italiano”.

Vorrei per ciò che mi è concesso, continuare ad analizzare le scelte strategiche strutturali, di comunicazione e marketing per una promozione efficace dell’olio extravergine di oliva di qualità.
Come ricorderà sferrai un duro attacco alla scelta strategica di puntare decisamente sugli aspetti medico nutrizionali come elemento distintivo ed attraente nei confronti di un consumatore sempre più attento al benessere e alla salute.
L’obbiettivo che si intende percorrere è chiaro: rendere l’olio di oliva un bene ”necessario” in una corretta alimentazione e sostitutivo di tutti quei grassi che sono invece nocivi.
Questa comunicazione ha, come ricordava anche il dott Grimelli, indubbiamente provocato un aumento di consumo di olio di oliva nel mondo e si prevede un ulteriore aumento negli anni futuri.
Sicuramente l’aumento dei consumi mondiali di olio di oliva sarà inarrestabile!! Ma basterà??

Partecipo a molte riunioni e congressi e molti relatori esternano un ottimismo sul futuro dell’olio basato prevalentemente su due dati:

- l’aumento costante dei consumi di olio di oliva nel mondo ( appunto)
- il fatto che soltanto il 2.5 % della popolazione mondiale consuma oggi olio di oliva e quindi i margini di incremento sono altissimi.

Purtroppo, pur rischiando di essere paradossale (ma nei ragionamenti paradossali si trovano molte più verità che nei ragionamenti apparentemente razionali, basta saperle cercare), vado anche in questo caso controcorrente e a mio modesto parere non saranno questi due dati tanto sventolati a salvare le produzioni di qualità della Sicilia o della Campania o della Puglia o della mia regione l’Umbria dove opero.

Un altro dato andrebbe ricordato ed è apparso tempo fa su Il Sole 24 ore, (ma sembra da tutti dimenticato): la perdita di redditività delle aziende olivicole è stata di circa il 30% negli ultimi 10 anni, questo spiega perchè nella mia regione, ma immagino la stessa cosa stia avvenendo anche in altre, si sta verificando un abbandono di alcune zone olivicole e una mancanza di raccolta delle olive, evento destinato ad aumentare dopo la recente normativa che disciplina le integrazioni comunitarie.
Questi due dati appaiono ad una lettura superficiale inspiegabili: come è possibile che ad un aumento di consumo di olio nel mondo ci sia una perdita di redditività ed un abbandono di questa coltivazione? Vengo sovvertirte le più elementari leggi economiche che spiegano come solitamente a fronte di un aumento della domanda si verifica un aumento dei prezzi?
Niente affatto purtroppo è tutto logico.

Per spiegare cosa sta accadendo e quale direzione e conseguenti investimenti andrebbero attivati, basta guardarci intorno e cercare di capire cosa sta accadendo o cosa è accaduto in altri settori.
Pur riconoscendo i forti limiti di un riferimento al mondo del vino, alcuni elementi sono chiarissimi e probabilmente replicabili.
Forse pochi lettori sanno che il vino ha patito una contrazione dei consumi di circa il 30%, negli ultimi 20 anni; si prevede inoltre una ulteriore contrazione nei consumi nei prossimi anni, ma questo non ha preoccupato i produttori di qualità che hanno visto un aumento dei propri fatturati del 300%.
Insomma cosa è accaduto? Anche in questo caso vengono sovvertite le più banali leggi economiche?
Come può un prodotto generare un aumento di fatturato così alto a fronte di un calo dei consumi così terribile?
Semplicemente perché il vino è diventato “altro”, perché si è trasformato da alimento e prodotto dell’industria e dell’agricoltura a prodotto del turismo e del tempo libero, perché ha risolto problemi di socialità, perché ha soddisfatto bisogni di appartenenza ed incorporato elementi di rappresentazione di sé, perché nessun prodotto della quotidianità è stato permeato di mito, storia, piacevolezza, fascino, insomma da prodotto “necessario” dell’alimentazione è entrato nella gamma dei beni superflui che incorporano elementi immateriali di così ampio valore tale da renderlo bene “necessario” non in quanto apporatore di elementi nutritivi ma in quanto risolutore di alcuni dei problemi più importanti del nostro vivere sociale.
Insomma in una semplice parola è diventato prodotto di qualità secondo i canoni della qualità ellenistica, sociale, emozionale.
Vorrei ricordare che ci sono sono studi che evidenziano come per combattere la concorrenza delle nuove produzioni la sola qualità intrinseca delle produzioni sarà considerato fattore scontato; per essere competitivi andranno aggiunti valori di identità, sostenibilità, personalità.
Ma cosa è la qualità ellenistica? Essa corrisponde al concetto di donazione di senso: ogni volta che un prodotto acquista ai nostri occhi significati ed incorpora elementi immateriali che vanno al di là del valore ed utilizzo intrinseco del prodotto stesso, quel prodotto diventa di qualità.
La qualità emozionale è invece molto cara al marketing del turismo, legata all’intensità delle emozioni nel vivere una esperienza ossia alla voglia di conoscere e di godere realtà diverse.
Quindi chiediamoci: l’olio è un prodotto di qualità in senso ellenistico sociale emozionale? (concetto che mi sta particolarmente a cuore perché lo ritengo cruciale).
Cosa è l’olio oggi cosa rappresenta? Come viene percepito? Quali significati incorpora?
Non mi sbaglio se dico che per il 99% della popolazione mondiale l’olio ( tutto l’olio) è quella sostanza grassa che in cucina serve per evitare che gli alimenti si attacchino alle padelle.
Sono rientrato proprio pochi giorni fa da un viaggio in Indonesia e Malesia che sono i più grandi produttori di olio di palma.
Una sera ero a cena in un ristorante malese, ed ho iniziato con il cameriere una chiacchierata sulla cucina.
Ho chiesto poi informazioni sull’olio di palma chiedendone le caratteristiche organolettiche (quello nutrizionali le conosco e so che sono terribili) se vi erano qualità diverse in base a clima, territori…. se si poteva visitare una azienda produttrice e se si poteva assaggiare e mi sono reso conto dallo sguardo del mio interlocutore che stavo chiedendo cose assurde, incomprensibili.
E che sapore deve avere l’olio?
E poi assaggiare l’olio? Ma sei pazzo? Visitare una azienda e cosa vai a visitare?
Erroneamente utilizzavo i parametri di valutazione dell’olio di oliva per l’olio di palma e questo non è possibile, come immagino non è possibile per la totalità degli oli di semi o vegetali.

La grande forza dell’olio di oliva solo parzialmente espressa risiede nella potenzialità di incorporare elementi di qualità in senso ellenistico, di qualità sociale di qualità emozionale, qualità che può risultare vincente molto più della qualità chimica, nutrizionale e di prevenzione, questo è il vero elemento distintivo, ben più potente, ritengo, della composizione degli acidi grassi saturi. Concentrare energie e finanziamenti verso la qualità intrinseca, reale o certificata ci fa perdere di vista l’importanza delle qualità di cui parlavo.

Quindi ritorno al punto di partenza ed affermo: non sarà l’aumento di consumo di olio di oliva nel mondo generato dalle campagne di sensibilizzazione che indubbiamente sposteranno i consumi dall’ olio di palma al consumo di olio di oliva a salvare le produzioni di qualità ma solo la capacità dell’olio di reinventarsi, di diventare altro rispetto a quello che è, paradossalmente di diventare non prodotto necessario ma bene superfluo ( spero sia chiaro ciò che voglio dire) ma carico di elementi di piacevolezza e di qualità in senso ellenistico, sociale ed emozionale. Se l’olio non sarà capace di diventare prodotto del turismo e del tempo libero di diventare prodotto di qualità ellenistica sociale ed emozionale avendone tutte le potenzialità, statene certi che nonostante i trend in crescita dei consumi, molte produzioni olivicole dei nostri territori saranno abbandonate, come sta già avvenendo ora.

A questo punto serve però capire cosa va fatto perché ciò possa accadere!!
Cosa manca all’olio perché tutti questi fattori riescano a fondersi?
In una semplice parola la vera grave e primordiale mancanza è quello che io definisco il “luogo dedicato”.
Esisterebbe vino senza enoteche, automobili senza concessionarie, gioielli senza gioiellerie, birra senza birrerie, ed ancora , gelati senza gelaterie, pizza senza pizzerie…. L’assenza del luogo dedicato è la grande mancanza del momento e non può questo ruolo essere svolto dai ristoratori che mentre vedono nel vino una fonte di guadagno, colgono nell’olio un aumento di costi.
Il luogo dedicato può essere in questo momento solo il frantoio.
In prima battuta i frantoi devono essere incoraggiati a diventare altro. E qui serve una scelta politica forte.
Se si ritiene che l’olio sia un prodotto decisivo per la nostra cultura per il nostro paesaggio, sia potenzialmente un prodotto di qualità che incorpora storia mito narrazione se si ritiene che rappresenti l’essenza più alta del made in Italy si deve operare un investimento consistente una ristrutturazione profonda dei frantoi sia strutturale sia degli elementi immateriali sia delle professionalità.
E’ arrivato il momento di smetterla di finanziare a fondo perduto nuovi decanter, cisterne, linee di imbottigliamento, vanno finanziati i frantoi che devono iniziare un percorso che li porterà a diventare i luoghi in cui mito, piacevolezza, storia, cultura, benessere si fondono nel vivere una esperienza unica, dove l’informazione si trasforma in coinvolgimento.
Questa può essere “ la via della differenziazione” dell’olio italiano rispetto alla Spagna che ha operato scelte ed investimenti in tutt’altra direzione.

Tutto questo elencato brevemente potrà far rinascere l’olio italiano e diventare nuovamente modello nel mondo.
Dai frantoi deve partire una nuova politica di rilancio e per questo i titolare di aziende devono essere affiancati da esperti di marketing e comunicazione.
Solo in seconda battuta se questa rivoluzione culturale del frantoio si completerà questo creerà nuovi bisogni anche nei confronti dei ristoratori che si vedranno costretti ad investire in un prodotto che si è trasformato è non è più quella sostanza grassa che serve ad evitare che gli alimenti si attacchino alle padelle ma incorpora quegli elementi immateriali che hanno fatto la fortuna di altre settori.
Se i frantoi italiani verranno lasciati da soli a combattere la concorrenza delle aziende spagnole e del nuovo mondo, e non verranno aiutati finanziariamente e progettualmente ad iniziare questo percorso che ho elencato sommariamente, gli stessi saranno travolti nonostante aumenti consistenti di consumo di olio di oliva nel mondo.

Questa è sola la prima fase della “rivoluzione culturale”, il passaggio successivo, ben più interessante ed affascinante nonché indispensabile sarà di coinvolgere questi produttori nella creazione di un network produttivo al quale affiancare un network distributivo ed un finanziario e per fare questo esistono già esperti di marketing con progetti pronti e software funzionanti.
Ma questo è un altro capitolo di una storia che deve ancora essere vissuta.
La ringrazio e La saluto cordialmente.

Luigi Tega