La voce dei lettori

"BONIFICARE GLI UOMINI TRAMITE LA BONIFICA DELLA TERRA"

Un lettore ci scrive in merito a un articolo sul capocontadino Pasquale Moscarelli, dirigente a suo tempo dell'Alleanza dei contadini in Lucania. Il riferimento è a un libro di Alfonso Pascale. Durante il ventennio fascista, anche in Basilicata vi furono oppositori del regime?

16 settembre 2006 | T N

Ho letto per caso il vostro articolo:

UN "CAPOCONTADINO" AMATO E RISPETTATO, ARTEFICE DELLE LOTTE PER LA
RIFORMA DEI PATTI AGRARI
Festeggiati i novant'anni dell'agricoltore lucano Pasquale
Moscarelli, dirigente a suo tempo del Pci e dell'Alleanza dei
Contadini. In un libro di Alfonso Pascale il ritratto di un
personaggio così irrimediabilmente anticonformista da apparire quasi
un "eretico"
(17 Dicembre 2005 TN 46, anno 3:
link esterno)

Non sono per niente daccordo con voi quando parlate di antifascismo,
con tutto il rispetto per il sig. Moscarelli, ma in Basilicata non è
mai esistito un movimento antifascista, anche a livello di singole
persone, ci poteva essere dissenso ma non credo potreste citarmi
qualcosa che vada oltre qualche fatto di folklore paesano.

Antonio Oddone


Caro Direttore,

le sono grato per avermi girato il commento di Antonio Oddone. Ecco la risposta, necessariamente lunga, ma spero esaustiva.

Coi più cordiali saluti.

Alfonso Pascale


Alfonso Pascale

Risposta alla lettera di Antonio Oddone

Ringrazio Antonio Oddone per aver commentato la notizia relativa alla presentazione del mio libro "Pasquale Moscarelli nella storia delle campagne lucane".

Durante il ventennio fascista vi furono anche in Basilicata oppositori del regime? In che modo si manifestò l'antifascismo lucano? Dalla documentazione finora esaminata dagli studiosi è possibile a mio avviso rilevare una presenza significativa di gruppi e di singole persone che avevano maturato una coscienza politica avversa al regime. Naturalmente in Basilicata l'opposizione al fascismo si connotava in modo peculiare. E ciò per una serie di ragioni. La prima è senza dubbio di carattere sociale ed economico. E' infatti quasi unanime l'opinione degli storici nel ritenere che il regime abbia fallito l'obiettivo di "fascistizzare" i ceti popolari lucani. La causa dell'insuccesso è da ricercare nella politica economica perseguita in quegli anni e che determinò un impoverimento notevole dei contadini e dei piccoli artigiani. E dunque da queste classi sociali soprattutto, venne la spinta ad ingaggiare iniziative di protesta che si propagheranno ben presto in tanti comuni della regione. Certo, la dimensione delle lotte era municipale; mancavano ispirazioni e orientamenti politici espliciti. Il che, però, non può autorizzare a situarle nelle forme di protesta consuete alla secolare vicenda dei rapporti tra masse contadine e istituzioni nel Mezzogiorno. Anche se si svilupparono intorno a problemi tipici delle campagne meridionali - la cieca tassazione comunale, gli usi civici, i patti agrari, ecc. - quelle lotte ebbero un carattere eversivo e si espressero con inusitata violenza soprattutto quando le forme di dominio adottate dai gerarchi fascisti tentavano di incidere nel profondo della coscienza, come ad esempio nel 1937 ad Episcopia quando venne proposta da parte del regime una diversa organizzazione dell'annuale sagra del grano.

Il secondo fattore che alimentò una coscienza antifascista fu il permanere di posizioni democratiche e socialiste che venivano da lontano. La lettura dei fascicoli dei sovversivi lucani redatti dalla polizia fascista rivela la mappa di queste persistenze ideali. Irsina era stata la culla del socialismo lucano ed offrì il maggior apporto allo stuolo di schedati per motivi politici. Dei 345 marchiati come sovversivi nella provincia di Matera, ben 75 erano socialcomunisti irsinesi, per la maggior parte contadini e artigiani. Altro centro attivo del sovversivismo lucano fu Pisticci, dove furono schedate 58 persone, tra contadini, artigiani e operai, politicamente indicati come socialisti o comunisti o, più genericamente, come antifascisti o sovversivi. Gli antifascisti ritenuti più pericolosi venivano inviati al confino. E se si guardano i dati relativi alle cinque regioni del Mezzogiorno, emerge con chiarezza che, in rapporto all'entità degli abitanti, la Basilicata fu seconda per numero di confinati solo alla vicina Puglia. I confinati politici nati o domiciliati nella regione furono 155 a cui si inflissero complessivamente 298 anni di confino. Non mancano esempi di personalità lucane che scontarono perfino il carcere a causa della loro fede politica, come il dirigente comunista Michele Mancino, e di giovani che si arruolarono volontariamente tra i combattenti delle Brigate garibaldine e internazionali, per partecipare alla guerra civile in Spagna accanto alle forze repubblicane, come il titese Rocco Viggiani.

In ultimo, un fattore essenziale che alimentò una diffusa avversione al regime fu la presenza nella regione di numerosi confinati politici che ebbero sicuramente rapporti non fugaci con le popolazioni locali. Vissero per anni in Basilicata esponenti di primo piano dell'antifascismo nazionale, come Carlo Levi, Camilla Ravera e Guido Miglioli. Una zona del comune di Pisticci fu prescelta quale sede di una "colonia per la riabilitazione politica e morale dei confinati politici". 2.500 ettari di demanio comunale furono messi a coltura con l'impiego degli stessi internati secondo il motto "bonificare gli uomini tramite la bonifica della terra". Ma molti di quei 546 bonificatori forzati non si fecero affatto "bonificare" l'animo se dopo l'8 settembre saranno in prima linea nella lotta partigiana non senza aver trasfuso nella popolazione pisticcese sentimenti antifascisti, come testimonierà un protagonista d'eccezione, Domenico Giannace. Non a caso, nel 1943, in contemporanea con l'epopea partigiana del Centro-Nord, le quattro giornate di Napoli e l'insurrezione di Matera, anche in molti centri rurali lucani esploderà l'ostilità al fascismo accumulatasi negli anni precedenti. Sarà il contributo originale del Sud alla Resistenza non meno importante di quello offerto nei campi di concentramento nazisti da tanti soldati meridionali che, vagando "sbandati"per la penisola, saranno catturati dai tedeschi ed opporranno un netto rifiuto ad arruolarsi nell'esercito della repubblica di Salò.

Anche Pasquale Moscarelli venne allora maturando quella coscienza antifascista che unita al ripudio di ogni forma di ingiustizia sociale lo caratterizzerà per tutta la vita. Orfano di madre sin dalla tenera età, condivise con il padre il peso della numerosa famiglia in una masseria della campagna di Tito di proprietà di esponenti fascisti. E difficilmente, come ho già osservato prima, le fratture sociali erano tenute distinte da quelle politiche. Ma ci sono due episodi - che Moscarelli stesso racconta nel libro - a forgiarlo inconfondibilmente nelle sue convinzioni politiche. Il primo riguarda l'intensa impressione che suscitò nel suo animo giovanile la notizia della morte di Antonio Gramsci. Egli si trovava militare di leva a Ventimiglia la sera del 27 aprile 1937 quando apprese da un volantino distribuito clandestinamente che a Roma era morto l'intellettuale comunista tre giorni prima che finisse di scontare i dieci anni di dura prigionia a cui lo aveva condannato il tribunale speciale fascista. Perché non dargli credito se ci dice che la notizia del sacrificio di una così limpida personalità del mondo politico e culturale italiano lo scosse profondamente? L'altro episodio riguarda il fugace ma significativo contatto che egli ebbe con la Resistenza partigiana. Alla notizia dell'armistizio firmato da Badoglio, come tanti altri reparti dell'esercito, anche il suo di stanza a Moncenisio si sbandò. Moscarelli e tanti altri soldati lucani fuggirono verso casa in treni di fortuna. E passando per Torino, vennero riforniti di abiti civili da coraggiose ragazze partigiane ed evitarono così la cattura da parte dei tedeschi. Sono episodi non eroici. Ma la maturazione di una coscienza antifascista poteva in quel periodo avvenire per vie molteplici: anche attraverso ingenue esperienze di vita che capitavano per caso. E l'opposizione al regime si poteva manifestare in tanti modi: anche mediante la sola forza d'animo e la fermezza nelle proprie idee.

Alfonso Pascale