La voce dei lettori

IL VINO E' MORTO? / 1

Un'accorata lettera di Ugo Brugnara ispirata dalla lettura dell'editoriale di Franco Bonaviri

15 ottobre 2005 | T N

Egregio sig. Franco, buongiorno.

Ho letto con grande interesse il suo articolo perché amo il vino e perché da pochi mesi, dopo 38 anni d'informatica, lavoro nel settore. Quindi mi sembra giusto commentare le sue esternazioni anche se, purtroppo, sono mediamente allineato con la sua disamina. Anzi, in qualche caso sono ben più critico e deluso. Quanti anni ha lei sig. Franco? Se è giovanissimo non ha avuto le mie esperienze e quindi non può aver avuto le stesse negative sensazioni che vado ad esporre.
Sono un preciso riferimento alla sua decisa e corretta denuncia per coloro che trattano il vino come un prodotto da linea di montaggio piuttosto che come frutto di dedizione, competenza, fatica ed anche trepidazione.
La mia esperienza, dunque.
Sono andato, pochi giorni fa, nella collina dove s'estende il nostro vigneto che il bravo Aldo cura con grande abnegazione. Sono arrivato nel podere dove da poco era iniziata la vendemmia. Ero con un amico e pregustavo un sereno andirivieni fra i filari piluccando qua e là, facendo finta di intendermi di uve, di grado zuccherino, di mostimetri ecc. Sono rimasto a bocca aperta con un pizzico, forse più di un pizzico, di delusione. Non più carri in legno, con ruote cerchiate e le spondine laterali, trainati da buoi possenti e dalle corna poderose, ma nuovissimi trattori New Holland con rimorchi in ferro dalla doppie sponde. Normale e giusto per migliorare la produttività e le condizioni di vita dei contadini. Quello che mi ha sorpreso, ma normale amministrazione anche questa volta, è stato il... parcheggio. Non più biciclette più o meno vecchie, più o meno arrugginite appoggiate l'una contro l'altra oppure appoggiate ai salici o ai gelsi disposti all'inizio di ogni filare. Erano le biciclette dei contadini confinanti che venivano a dare una mano per poi essere contraccambiati. Tante, ma tante biciclette alcune delle quali avevano, fissata al telaio, una ventiquattrore ante litteram (sporta tenuta su con lo spago) contenente la merenda e anche un bel bottiglione di vino. Vino con il "fioretto" ormai diventato quasi imbevibile in attesa della nuova produzione. Questa volta però non ho visto una sola bicicletta, ma una lunga fila di macchine parcheggiate con il muso sul prato, tra un filare e l'altro. Certo, molte erano macchine in odore di demolizione con la sigla della città e numeri di targa molto bassi, evidentemente di proprietà di qualche extracomunitario, ma molte erano macchine attualissime ed alcune anche di lusso. Segno che i tempi sono proprio cambiati. Ma è rimasta la poesia della vendemmia? E' rimasta la gioia per il raccolto? E' rimasta la gioia di darsi una mano? Non so, anzi credo di no ma credo anche che sia un processo ineluttabile ed irreversibile. Però mi spiace. Una volta si poteva anche sentire il canto delle donne che intonavano qualche coro scherzoso ove sempre facevano capolino velati episodi di sesso, ma senza parolacce e con una vena di pudore. La canzone "Lo spazzacamino" andava per la maggiore. Non ho sentito il coro ma nemmeno il vocio di chi parla e si racconta le proprie vicende per ammazzare il tempo o per vincere, insieme, la fatica. Mentre mentalmente e automaticamente facevo questo raffronto, mi passavano davanti le immagini mai scordate delle mie vendemmie giovanili. Partecipavo volentieri, lavoravo con buona lena sentendomi importante. Ma mi piaceva soprattutto la sera, quando, per diritto, potevo mangiare assieme ai contadini. Polenta bianca fumante che si tagliava con un filo di spago e poi uova sode cosparse di pepe nero e poi salame, soppressa e ossocollo e poi radicchio condito con il lardo ed infine il vino, cattivo fin che si vuole ma che a me sembrava buono perché era quello dei grandi. E' ormai storia! Adesso la serata finisce con la distribuzione di sette euro all'ora, rigorosamente in nero, ad ogni lavorante. E tutto finisce lì! Allora è vero: la poesia è finita.
E vero, sig. Franco, troppa gente sentenzia, troppa gente non sa di cosa si parla, poca gente conosce il sudore di chi lavora la vigna, specie in collina. L'altro giorno, girando per le colline di Maser - TV, ho rubato un grappolo di merlot: è un'uva buonissima molto più buona di tante uve da tavola. Io non so quanti fra coloro che Lei con indulgenza definisce "culturalmente estranei" riescono a distinguere un acino di merlot da uno di cabernet o di prosecco. Anzi, non so nemmeno se mai hanno assaggiato un grappolo d'uva diverso dal moscato. Ci dobbiamo scandalizzare? Forse non è il caso, oramai comandano le guide, gli inserti, le stelle, i 5 bicchieri, i gamberetti, i premi ecc... Che il vino sia buono, frutto di un grande impegno, conta poco. E se è vino (?) non buono... nema problema. Ci penseranno i media, tramite la Lecciso o la Parietti o qualche velina, a convincere l'acquirente. Ecco perché plaudo Alessandro Dettori, vignaiolo dell'Asinara, che con fare ingenuo ma sincero pretende di vendere anche cultura oltre che il proprio superbo vino rosso. Per quanto riguarda le punture di vespa, le dirò che è l'unico momento in cui non sono d'accordo con lei. Credo che Bruno Vespa sia almeno un appassionato del buon bere. Esiste tutta una pletora di falsi intenditori di gran lunga più meritevoli di strali feroci. Temo che in questo campo la competenza, la professionalità e la cultura non contino più. Infine parliamo della ruralità smarrita. Chi vuole che abbia il fegato, la voglia ed il coraggio o anche l'opportunità di cercare di recuperare quell'anima persa ormai dietro al guadagno, dietro alle fantasmagorie del successo? Scusi lo sfogo puerile di un modestissimo ed incompetente amatore, ma profondamente appassionato.
Grato se avrà avuto la pazienza di arrivare alla fine. Ma non demorda, Franco, specie se è giovane deve continuare a crederci e a parlare sempre di cultura del vino!
Complimenti e cordialità.

Ugo Brugnara
Dea Rivalta


P.S. Mentre stavo chiudendo queste quattro righe sconclusionate, mi è arrivata via e-mail la comunicazione da "Cucina & Vini" dei premiati con le 5 sfere spumanti 2006. Ne avevo proprio bisogno! Non ho la conoscenza per dire se è valido o meno il loro giudizio. Ma ho il buon senso per dire che queste iniziative si sprecano. O mi sbaglio? Così va il mondo, sig. Franco. Ariciao.




Anche lei, caro signor Ugo, ha notato il grande disagio che si prova per i mutamenti nel comparto vino. Non c'è motivo di lamentarsi, ma è bene stare in guardia ed evitare di far ridurre il vino a solo fenomeno di costume o a puro guadagno. Sono comunque ottimista, anche se il futuro sarà in ogni caso difficile, per tutti i prodotti della terra.

Franco Bonaviri