La voce dei lettori
"SPERO VORRAI PERDONARMI SE OGNI VOLTA..."
Quando la mosca salta al naso. Una appunto del giornalista Stefano Tesi intorno a un articolo di Graziano Alderighi intorno agli agriturismi. Occorre sfatare alcuni falsi miti e chiamare la realtà con il proprio vero nome
18 dicembre 2004 | T N
Caro Caricato,
spero vorrai perdonarmi se ogni volta che si parla di agriturismo, magari un po' a sproposito, mi salta la mosca al naso. Attribuiscilo al riflesso condizionato di un affezionato lettore abbastanza ferrato in materia.
Scorro il pezzo di Graziano Alderighi sull'ultimo T.N. (Agriturismo in crescita o in calo? Non c'è accordo nemmeno sui numeri) e mi viene da sorridere. Non perchè l'ottimo collega dica delle scempiaggini, sia chiaro, ma perchè la domanda agli interrogativi posti nell'articolo è piuttosto facile da ricavare. Basta scavare un po' nei dati e nella realtà .
Cominciamo con una rilevazione di tipo culturale. Per incomprensibili motivi - se non per una miscela di ingenuità e malizia tipica dell'associazionismo agricolo - le associazioni agrituristiche si ostinano a fare l'opposto di quello che le organizzazioni consimili degli agricoltori e degli albergatori praticano da anni: la lamentela sistematica. Mentre i secondi, senza dubbio esagerando, denunciano sempre raccolti insoddisfacenti e fatturati in sofferenza, così i primi continuano a far finta che tutto vada bene, che il settore sia florido, che la massa delle attività sia in crescita: forse per perpetuare quell'immagine un po' stucchevole di sè, da piccolo mondo felice a prescindere da tutto il resto, che ritengono attagliarsi meglio ai loro interessi propagandistici.
Ovviamente si tratta di un grave errore e di una pietosa bugia che, per paradosso, contribuisce da un lato ad allontanare dal comparto l'attenzione critica dei media e dei pubblici amministratori e dall'altro ad attirare sulla categoria l'invidia dei settori concorrenti e gli occhi rapaci del fisco. Ma veniamo ai dati.
L'affermazione che il "calo" nel 2004 sia stato di pochi punti percentuali è una sciocchezza. Innanzitutto perchè i dati sono desunti dalle dichiarazioni spontanee o, peggio, dalle statistiche ufficiali. Alle quali non solo sfugge, come è ovvio, il "nero" assoluto, cioè l'abusivismo (che incide realmente del 30% sull'offerta), ma anche il "grigio", cioè il nero praticato da aziende autorizzate che non denunciano tutti gli arrivi. Fino a pochi anni fa, quando il timore di "visite" sgradite e di controlli era basso, il "grigio" toccava punte del 40%, mentre ora che la paura di essere pizzicati è cresciuta quella percentuale si è molto ridotta. Risultato? Il fatturato delle aziende e/o il numero ufficiale delle presenze sembra calato solo di poco perchè è quello reale ad essere sceso parecchio, anche del 30%. In pratica ora si mascherano le perdite facendo finta che l'abbondante "grigio" degli anni passati non ci sia mai stato.
La seconda ragione per la quale quel -3,5% è una mezza bufala è che, anche se il dato dichiarato fosse vero, essendosi moltiplicato a dismisura il numero delle aziende, il calo percepito da ognuna in termini di presenze e di fatturato è, ovviamente, ben più alto. Con conseguenze immaginabili sullo stato di salute delle aziende stesse.
Ma, già che ci siamo, sfatiamo anche il mito del "settore in crescita" sul fronte del numero delle aziende in attività . E' vero che, per effetto trascinamento, sull'onda della moda passata un certo numero di nuove imprese agrituristiche continua a nascere, cosa che peraltro non giova a un settore saturo da anni. Quello che però nessuno dice e che si fa finta di non capire è che, crollo dei fatturati a parte, nel computo della aziende attive si continua a considerare la vasta fetta delle strutture "in sonno", di quelle cioè che, pur senza "chiudere" formalmente, di fatto hanno cessato l'attività ricettiva e/o l'hanno sospesa sine die e/o, a causa della crisi, hanno fatturati prossimi allo zero. Agriturismi simili possono considerarsi "attivi"? Sulla carta forse sì, ma nella sostanza dubito.
Per finire, l'ultima fola sulle cause del successo e dell'insuccesso delle singole strutture. Che, a sentire le associazioni agrituristiche, sarebbero da attribuire alla capacità degli operatori di "affinare unâofferta diversificata, a partire dalla valorizzazione di una ristorazione principalmente basata sulle produzioni aziendali, fino ad offrire una gamma di servizi aggiuntivi che valorizzano il soggiorno in aziendaâ.
Ma per favore. Sì, in (minima) parte ciò è certamente vero. Così come è vero che ci sono tanti imprenditori capaci, grazie alla loro professionalità , di raccogliere il successo che alla maggioranza manca. I casi singoli, però, non fanno statistica. In realtà , mediamente, nel settore prosperano e prevalgono sempre di più quelle aziende che hanno saputo darsi il giusto taglio commerciale. Quelle che, cioè, con buona pace della retorica sull'autenticità , i valori della vita rurale e tante altre balle, operano in regime di stretta economicità , mettendo in testa alle priorità il raggiungimento del massimo utile. Avvicinandosi così nei fatti, fatalmente e logicamente, alla tipologia ricettiva concorrente, quella turistico-alberghiera. La quale, diciamolo, talvolta non ha tutti i torti a lamentarsi di certi "competitors" pseudorurali.
Morale: l'agriturismo vero (cioè quello esercitato dall'agricoltore nell'ambito di un'azienda agricola vera che volge attività agricola vera e fa fatturati agricoli veri, quindi essendo portatrice di "valori" rurali veri) "nasce" e può sopravvivere solo con i piccoli numeri. Altrimenti diventa industria o commercio e pertanto, ipso facto, esce dal contesto agricolo. Questo, sia chiaro, è perfettamente giusto e lecito. Secondo alcuni è perfino auspicabile. Basta intendersi: se si vuole tenere fermo il principio che l'ospitalità in campagna debba costituire una delle ciambelle di salvataggio del mondo agricolo tradizionale, quanto sta succedendo non va bene. Se invece si vuole inseguire un modello di "sviluppo" economico il cui metro siano esclusivamente il tasso di crescita dei fatturati, dell'occupazione e del giro di affari ("agriturismo di massa"?), smettiamola con l'oleografia e chiamiamo le cose con il loro nome: industria del turismo.
Scusa lo sproloquio e cordiali saluti
Stefano Tesi
Caro Tesi,
le tue posizioni in materia le accogliamo sempre con molto piacere. Esprimono una competenza e una passione che ben si conciliano con la natura della nostra rivista, aperta al confronto. Ti trasmetto qui di seguito la risposta di Graziano Alderighi.
Luigi Caricato
Egr. Sig. Tesi,
quali sono realmente i numeri dellâagriturismo in Italia? Lei ha fornito ottime riflessioni e dati che, sebbene ragionevoli e ragionati, sono frutto più di sue deduzioni e riflessioni che di ricerche attendibili. Lâagriturismo è dunque in crescita o in calo? Chi conosce il settore non può che confermare che il 2004 è stato un anno difficile, la presenza, sia in termini di numero sia di periodo di vacanza pro capite, sia di italiani sia per di stranieri, si è ridotta considerevolmente. Sì, ma di quanto? Non câè accordo perchè il sistema di rilevamento, come ha giustamente fatto rilevare, presenta delle pecche.
La domanda, lâagriturismo è in crescita o in calo?, era quindi retorica, e un poâ ironica, più che reale e intendeva denunciare, senza eccessivi clamori, che sono lontani dal mio stile, una situazione anomala, per cui due rappresentative associazioni di categoria nazionali presentano un quadro divergente, contrastante dellâattuale stato di salute del comparto del turismo rurale.
Ritengo che, ancor prima di formulare proposte e cercare soluzioni al problema della scarsa attendibilità dei dati macroeconomici del comparto, sia necessario prenderne coscienza e fare autocritica.
La ringrazio per il suo prezioso contributo.
Cordiali saluti
Graziano Alderighi