La voce dei lettori

Un grande sogno: firmare un olio di grande bontà

Dallo storico evento sui 50 anni dell’extra vergine la testimonianza di Giuseppe Stagnitto, un “imprenditore aperto alla cultura” che con Flavio Lenardon si è impegnato a contrastare lo stato di abbandono degli oliveti in Liguria

16 aprile 2011 | T N

Dopo una opportuna e necessaria pausa, al fine di evitare eccessi di attenzioni sull'onda  dei festeggiamenti per i 50 anni dell'olio extra vergine di oliva, riportiamo in questo numero 15 di Teatro Naturale due robuste e pulsanti testimonianze rese da due nostri lettori, a margine di quella storica celebrazione di cui siamo gli artefici.

Ci si rende conto in tal modo che vi sono due distinti atteggiamenti, uno costruttivo - ed è il caso della lettera di Giuseppe Stagnitto - e  l'altro, a firma del produttore Ampelio Bucci, marcatamente accusatorio e ostile.

Cosa resta da dire? A nostro parere quanto è avvenuto in passato va sempre contestualizzato, e il migliore atteggiamento da assumere in questi casi è di guardare al futuro con occhi nuovi, senza volontà di recriminare nulla. (L. C.)

 

 

L'INTERVENTO DI GIUSEPPE STAGNITTO

Gentilissimo Dott. Luigi Caricato,

dopo aver letto per tanto tempo i Suoi scritti, ho avuto il piacere di conoscerLa personalmente a Milano in occasione della celebrazione del compleanno dell’extravergine. Ci congratuliamo per il grande successo della manifestazione.

 

Scopo della lettera

Con questa lettera vorremmo che Lei sapesse della nostra battaglia, in Liguria, per il riconoscimento della qualità dell’olio di frantoio: anche noi cerchiamo di essere, utilizzando le parole di Maria Novaro, “imprenditori aperti alla cultura”.

 

Gli elogi alla Sua persona

Ma prima voglio raccontarLe una cosa che credo Le faccia piacere.

Il 2 dicembre, durante la giornata dell’orgoglio oliandolo, avevo accanto a me il dott. Nicola Salucci (di Eco-ideare, periodico sullo sviluppo sostenibile) e l’agente Massimiliano Maran. Questi amici hanno avuto per Lei singolari parole di elogio: “Ha una tale padronanza del palco, della comunicazione, che potrebbe surclassare anche i più grandi presentatori televisivi”.

Maran ha poi spiegato come la rivista Teatro Naturale fosse utilissima per il suo lavoro: “ogni sabato mattina, puntualissima, mi aggiorna con articoli che vanno diritti al sodo, e anche molto ben scritti”.

 

Mi presento

Sono un ingegnere e ho lavorato molti anni sia a Pavia sia a Milano. Sono da diversi anni docente universitario come Professore a contratto nei corsi di laurea triennale e di laurea specialistica nella facoltà di Ingegneria dell’Università di Pavia. Nella mia professione ho svolto anche attività di consulenza aziendale, acquisendo esperienza nel controllo di gestione economico-finanziaria delle imprese e nelle tecniche di comunicazione e marketing.

Poiché insegno anche “Storia della scienza e della tecnica” mi è capitato di tenere pubbliche conferenze e anche di essere oggetto di interviste: (leggi qui).

 

L’incontro con Flavio Lenardon

Circa due anni fa, ho conosciuto l’esperto enogastronomico Flavio Lenardon, un personaggio davvero straordinario, che gestisce con successo, insieme a Renato Torriglia, il negozio Liguria Doc, sull’Autostrada dei Fiori nell’area di servizio di Ceriale.

Nel corso di quindici anni di lavoro nel campo del commercio, Flavio Lenardon non ha fatto altro che “tormentare i frantoiani” per carpirne i segreti con il desiderio di “firmare” un giorno un olio di elevata bontà.

Ricordo che Flavio accostò questo suo sogno ad un altro dato incontrovertibile: in ampie zone delle provincie di Savona e di Imperia gli oliveti sono in stato di abbandono tanto che si stima che la superficie già incolta e quella a rischio insieme rappresentino circa il 50 % della superficie totale olivicola.

Flavio si domandò ad alta voce: di fronte ad un prodotto oggettivamente riconosciuto unico nel panorama mondiale, è mai possibile che ogni anno si debba assistere al “degrado” dell’unico territorio che può produrlo?

 

Nasce Tesori della Costa

Un rilancio dell’olivicoltura otterrebbe innanzitutto occasione di lavoro qualificante per tanti giovani e il beneficio non secondario di mantenere in salute l’ecosistema; tra l’altro, come noto, il degrado dell’entroterra ha effetto negativo anche sulla costa perché il sistema naturale diviene vulnerabile (per questi argomenti ho maturato una particolare sensibilità in quanto sono docente nei corsi in Ingegneria per l'Ambiente e il Territorio).

Succede a volte che un interrogativo si insinui in noi e domandi alla nostra buona volontà un tentativo di risposta.

La nostra risposta è stata quella di fondare un’azienda che concentrasse in sé una forte spinta emotiva, una fede solidissima e obiettivi ideali prima ancora che economici o finanziari.

Penso che la mia preparazione professionale e la mia “forma mentis” siano il tassello che mancava per edificare una nuova Azienda nella quale Flavio segue personalmente la produzione con una cura maniacale (solo i paranoici sopravvivono come dice il titolo di un famoso libro di marketing).

 

Un libro sul rapporto tra l’olio e la letteratura

L’anno scorso – nel corso di una serata da noi organizzata ad Alassio - il Prof. Giorgio Barbaria, docente di greco e di latino, ha tenuto una relazione sul rapporto tra l’olio e la letteratura. Questo nostro amico possiede una cultura “abissale” ma, come spesso accade a molte persone geniali, se non è convenientemente stimolato, preferisce immergersi negli adorati studi, piuttosto che produrre opere nuove.

Ebbene, Flavio Lenardon ed io, con un’opera incessante di convincimento – durata, appunto, quasi un anno – siamo riusciti a fargli comporre un saggio inedito, una sorta di lungo poema la cui lettura meditata permette di cogliere appieno i dottissimi riferimenti della lirica finale.

 

L’inizio del libro

Oleum effusum nomen tuum, «profumo che si effonde è il tuo nome». Nel gioco di parole del poeta biblico di oltre duemila anni fa, šemen-profumo è il šem-nome dell’amato per i sensi della donna innamorata, tanto sono «gustose e dolci» le sue «tenerezze amorose». Insieme agli amanti del Cantico dei cantici siamo avvolti dal profumo inebriante del nardo, ricercato e costoso, cui si aggiungono i profumi delle viti in fiore e delle mandragole, che si spandono da un “giardino delle delizie”, figura eloquente delle attrattive offerte dall’amata.

Si perde, nella Volgata latina di S. Girolamo, il gioco di parole dell’ebraico, ma il «profumo» diventa oleum, l’olio di oliva, l’«oro liquido» dei Fenici, non confinato all’ambito alimentare, ma usato di volta in volta come moneta di scambio, balsamo, cosmetico, combustibile per il riscaldamento e l’illuminazione.

Dov’è nato l’olio di oliva? Conosciuto da popoli semitici come gli Armeni e gli Egiziani, pare originario dell’Asia Minore, poi passato in Grecia e in Occidente. I termini greci elàia, ‘ulivo’ e ‘oliva’, ed élaion, ‘olio di oliva’, di chiara impronta mediterranea, non esistono in sanscrito, l’antica lingua dell’India, e secondo Erodoto, Assiri e Babilonesi ignorano l’ulivo, alla pari del fico e della vite, e quindi «non usano olio d’oliva, ma lo ricavano dal sesamo».

(…)

Il Prof. Barbaria, quasi disegnando una serie di cerchi concentrici, considera il mondo classico (greco e latino), il mondo ebraico e cristiano concentrandosi infine sulle figure letterarie più rappresentative della Liguria.

Quel giorno, a Milano, la meravigliosa relazione di Maria Novaro ha richiamato alla mia memoria un altro brano del libro che stiamo terminando.

 

Un brano del libro ove si parla di Mario Novaro

(…)

«In questo mondo tutto di furbi» soltanto Mario Novaro (Diano Marina, 1868 - Ponti di Nava, 1944), industriale dell’olio ma anche poeta, filosofo e operatore culturale, poteva diventare per Boine «l’unico mio amico»201, anche se poi, nel 1939, pubblicherà postumo il suo saggio La crisi degli olivi in Liguria sotto il titolo La casa del nonno e la cattedrale degli ulivi, amputandolo della sezione a carattere storico-sociologico.

La conduzione dell’industria olearia di famiglia, intestata alla madre Paolina Sasso, non impedisce a Novaro, laureatosi in filosofia a Berlino nel 1893, di coltivare interessi letterari e culturali attraverso la direzione della rivista “La Riviera Ligure” e la stesura della sua unica raccolta poetica Murmuri ed echi (1912), rielaborata più volte.

“La Riviera Ligure di Ponente”, nasce nel 1895 come mezzo di diffusione dei prodotti della Ditta Sasso di Oneglia, che si propone con una immagine gradevole, in linea con il gusto liberty dell’epoca, concedendo spazio a tematiche connesse alla cultura dell’olivo e al paesaggio ligure. Da rilevare che già negli anni Novanta dell’Ottocento potenti autocarri col marchio “Sasso” attraversavano il centro di New York distribuendo il SASSO OLIVE OIL Packed only in Italy by P. Sasso & Figli. Oneglia tramite la ditta “I.F. Roncallo, 528 West Broadway”.

A partire dal 1899, la direzione di Mario Novaro trasforma il foglio, rinominato “La Riviera Ligure”, in una innovativa occasione culturale di notevole risalto sia per i contenuti letterari sia per l’aspetto grafico-illustrativo, attraverso la collaborazione di personalità che lasceranno un’impronta significativa nella cultura italiana del Novecento. Ai nomi di Giovanni Pascoli, Grazia Deledda, Luigi Pirandello, si aggiungono in seguito quelli di Dino Campana, Emilio Cecchi, Corrado Alvaro, Umberto Saba, Clemente Rebora, Camillo Sbarbaro, Giuseppe Ungaretti, Aldo Palazzeschi, Guido Gozzano, Marino Moretti, Giovanni Papini. Dal marzo 1914 all’ottobre del 1916 Giovanni Boine vi tiene una rubrica di recensioni dal titolo Plausi e botte. Tra i collaboratori artistici vi figurano: Giorgio Kienerk, Cesare Ferro, Plinio Nomellini, Edoardo De Albertis, Felice Carena, Adolfo Magrini.

Allo scopo di valorizzare il lascito intellettuale dell’imprenditore-poeta di Oneglia che operò per «inserire il frantoio industriale, la fabbrica, nel territorio», per iniziativa degli eredi e di un gruppo di docenti dell’Università di Genova, è nata nel 1983 la Fondazione Mario Novaro, che attua il proprio compito istituzionale attraverso la realizzazione di incontri, mostre, convegni, l’edizione di testi e, dal 1990, la pubblicazione dei Quaderni quadrimestrali a carattere monografico che riprendono la vecchia testata de “La Riviera Ligure”.

Dall’edizione dei carteggi intercorsi tra Mario Novaro e alcune delle firme ospitate sulla rivista emergono anche aspetti curiosi, quali richieste di denaro, domande di impiego, scherzi e maldicenze, ed anche, naturalmente, spedizioni dell’Olio Sasso. Così esordisce una lettera che Giovanni Papini scrive in data 29 ottobre 1916 da Pieve S. Stefano (Arezzo):

 

 

Carissimo Novaro,

non scrivo al direttore della «Riviera», ma all’industriale.

Quell’olio è ormai quasi finito e volentieri ne prenderei dell’altro - magari anche un po’ di più dell’altra volta.

Lo pagherò, se lei vuole, con due o tre mandate di prosa – altrimenti lo pagherò in contanti.

Ma lei deve farmi questo favore perché quassù si trova caro e cattivo.

 

 

All’interno di Murmuri ed echi, nel “moto perpetuo” dei Fioretti compresi nel trittico di Tondo d’erba (1915), Mario Novaro constata la presenza di «qualcosa di troppo serio» nel suo «sentire», esprimendo conseguentemente e con forte intensità il desiderio di avere la «noncuranza» di tutta una serie di elementi, per lo più inediti nella tradizione poetica precedente, tratti dal mondo naturale ovvero dal paesaggio umano.

 

Tra di essi:

I muri a secco di pietra forte

che reggono l’arida terra di Liguria

alle fasce d’ulivi d’ulivi d’ulivi

(perenni fonti di serenità, fonti di pace!)

sempre vecchi sempre rinnovati,

e niuno gli à murati per primo.

 

E ancora due visioni tratte dalla marina di Oneglia:

 

La frasca d’ulivo

sulla prua della nave in cantiere

che aspetta il varo.

[…]

Il ciuffo di foglie d’ulivo in cima alla canna,

che il pescatore di polipi

tuffa e risciacqua,

molle argento,

sott’acqua tra gli scogli a richiamo.

 

E infine, nel «fioretto» ispirato ad una delle escursioni sulle amate Alpi Liguri, troviamo l’unica occorrenza del termine «olio»205 all’interno di Murmuri ed echi nell’accezione di combustibile per il lanternino:

 

L’ombrello che prestò l’ostessa

nel paese di montagna

dove sorprese la pioggia,

o il lanternino che dette

per la gita nella notte,

e uno della brigata lo abbandonò

con un dito giallo di olio sporco

su una pietra dell’alpestre sentiero

nel chiaro giorno.

 

 

L’interesse del colto imprenditore per l’olio riguardava anche la «critica dantesca», come si evince da una lettera scritta da Boine a Novaro in data 24 aprile 1913, che riportiamo quasi per intero

( …).

 

Due chierichetti

Egregio Dott.Caricato, a Milano Lei ha raccontato come lo scrittore Giuseppe Pontiggia La chiamava "il Papa dell'olio". Poiché scrivo anche a nome del mio Presidente Flavio Lenardon, Le comunico che – se vorrà – potrà contare sulla collaborazione di altri due chierichetti.

Grazie.

Giuseppe Stagnitto

Vice Presidente “Tesori della Costa

 Milano, 8 dicembre 2010 

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