Editoriali

Coldiretti. Da sindacato a commerciante

14 febbraio 2009 | Graziano Alderighi

Triste, ironica, grottesca. Sono tanti gli aggettivi che si possono utilizzare per descrivere l’evoluzione di quella che, fino a qualche anno fa, era effettivamente la principale organizzazione di categoria del mondo agricolo.

Oggi non lo è più.
Prenderne atto non è un atto politico ma semplicemente realismo politico.

Cosa è accaduto?
Per comprendere davvero l’evoluzione di Coldiretti occorre guardare al suo portafoglio, ovvero alle fonti del sostentamento di una macchina amministrativo burocratica che conta centinaia di dipendenti, strutture, che ha spese per milioni di euro.

Il tesseramento e le collaterali attività economiche legate al sindacato (sottoscrizioni, abbonamenti…) coprono solo una piccola fetta, assolutamente marginale, del fabbisogno Coldiretti.

I Caa, centri di assistenza agricola, e il volume d’affari legato alle pratiche Pac e pagate dagli agricoltori, oltre alle munifiche integrazioni dell’Agea per la tenuta del fascicolo aziendale, gonfiavano le casse di Coldiretti che intanto cresceva e accresceva le sue necessità.
Contemporaneamente, tuttavia, la politica agricola comunitaria evolveva, semplificava gli adempimenti e gli introiti iniziavano a ridursi.
Le battaglie ingaggiate da altre categorie, come i professionisti, in diretta competizione economica con i sindacati agricoli, hanno diminuito ancor di più i margini di manovra e le fonti di entrata.
E’ infine notizia recente che non è stata rinnovata la convenzione tra l’Agea e i Caa che prevedeva l’elargizione di 28 euro per ogni fascicolo aziendale tenuto. Si tratta di 50 milioni di euro in meno.

Altre strade per far quattrini? Il commercio.
Ecco che Coldiretti si butta in battaglie per i farmer’s market, che è pronta a gestire, ingaggia lotte selvagge per la conquista di consorzi agrari strategici e lancia un marchio, “Campagna Amica”, che vuole proporre anche in grande distribuzione. Tutto questo senza alcuna apertura e tentativo di collaborazione con le altre organizzazioni agricole.

Sergio Marini ha intuito prima degli altri, e anche per questo è stato riconfermato, che il principale problema per gli agricoltori è vendere.
Per tenere a sé l’ampia base agricola e così mantenere forza contrattuale con la politica nazionale ed europea non è più sufficiente offrire servizi tecnici, amministrativi e burocratici, così si butta sul commercio.
Nel frattempo lancia una campagna comunicazionale in grande stile dipingendosi come forza che salvaguarda gli interessi della collettività, che garantisce sicurezza alimentare, qualità e tipicità.
Un’azione di marketing ben congegnata che nulla ha a che fare, però, con l’attività propria di un'organizzazione di categoria.

Così finisce la gloriosa storia del "primo" sindacato agricolo del nostro Paese.