Editoriali

ALLARGAMENTO A EST

24 gennaio 2004 | Alberto Grimelli

Presto al già nutrito grappolo di nazioni che compongono l’Unione europea se ne aggiungeranno di nuove, Paesi dell’Est che vengono da cinquant’anni di regimi comunisti e che solo dopo la caduta del muro di Berlino hanno avuto l’occasione di aprirsi non solo a nuovi mercati e a un nuovo stile di vita, soprattutto economico, ma anche a idee, opinioni che solo qualche anno orsono non avrebbero varcato la cortina di ferro.
In prospettiva questo allargamento rafforza l’Europa, ne fa una potenza non solo economica ma anche sociale e forse culturale. Aprire le porte a nuove popolazioni, con le loro tradizioni e la loro storia, che non è solo quella di Marx e Lenin può arricchirci di nuove conoscenze e sicuramente può spronarci a tendere a più ambiziosi obiettivi, primo fra tutti contendere la supremazia mondiale economico-politica agli Stati Uniti. Lo scenario futuro vede quindi un’Europa protagonista nel mondo globalizzato, con un’economia, non solo industriale ma anche agricola e del terziario, forte, un bacino di cittadini-consumatori molto ampio, un nuovo risveglio culturale e sociale.
Questa, naturalmente, è una visione ottimistica, quella che a cui i politici e i governati attuali tendono e vorrebbero veder realizzata. Molti sono i passi da compiere per arrivare a questo risorgimento europeo. Le incognite che si pongono sono di diversa natura: politiche, economiche e culturali. Le difficoltà per accordarsi su una Costituzione sono solo il preludio a tutta una serie di problemi di integrazione e adeguamento legislativo e normativo che emergeranno lungo il percorso. Anche l’integrazione sociale e culturale si presenta lunga e perigliosa. “Tante teste tante idee” si dice, ebbene pensiamo quali e quante differenza possono esistere tra persone cresciute anche con stili di vita, mentalità e costumi diversi o contrastanti rispetto ai nostri e con un tessuto sociale ben lontano dal nostro.
Ultima, ma non secondaria questione, quella economica. La struttura produttiva e commerciale dei Paesi dell’Est è tutt’altro che solida, le loro economie nazionali sono traballanti, pronte a crollare a causa della prima tempesta in arrivo. È evidente che sperano in ingenti aiuti dall’Unione per risollevarsi e portarsi al livello delle vicine nazioni industrializzate con un tenore di vita decisamente superiore. Le risorse che andranno destinate sono enormi. La domanda che tutti ci poniamo è la seguente: avremo sufficiente energia e resistenza per sostenerli? A cosa dovremo rinunciare, ma soprattutto a cosa siamo disposti a rinunciare?
Naturalmente il settore agricolo è stato il primo ad essere stato preso di mira. Un comparto statalizzato, inondato di soldi, corrotto che può fare a meno di capitali che invece potrebbero essere proficuamente spesi per i Paesi nuovi arrivati. Queste sono alcune delle accuse più comuni che si sentono ripetere in continuazione.
Ebbene l’agricoltura è finanziata, non così lautamente, con denaro pubblico, sia esso statale o comunitario, perché non assolve solamente a compiti produttivi ma anche di tutela del territorio e del paesaggio. Si chiede sempre di più a questo settore, non solo la sicurezza alimentare ma anche requisiti nutrizionali e salutistici elevati, gusti ed aromi piacevoli, tipicità e tradizione. Tuttavia per tutte queste qualità non vogliamo spendere, consideriamo naturale che gli alimenti costino poco, attribuiamo così uno scarso valore non solo al prodotto agricolo in sé per sé ma anche al lavoro di chi opera quotidianamente nei campi.
Se una accorata difesa d’ufficio da parte delle organizzazione di categoria, dei professionisti e degli stessi agricoltori è spontanea e doverosa, ecco ciò che non ti aspetti.
Il commissario all’agricoltura Fischler il 15 gennaio a Berlino ha detto che “non è possibile fare più grande l’Europa con meno soldi” e anche “il budget a favore dell’agricoltura è giustificato”. Finalmente il riformatore della Pac, colui il quale tanti sacrifici ha richiesto agli agricoltori, ha preso una posizione chiara e speriamo non trattabile contro chi intende dirottare fondi e risorse verso altri settori. Chiarire, una volta per tutte, che gli aiuti servono al comparto per sopravvivere a fronte delle esigenze di tutela ambientale e salutistica dei cittadini è uno sforzo che i politici europei ed italiani non avevano mai fatto.
Un plauso quindi per questa dichiarazione del commissario Fischler, augurandoci che non sia solo un contentino per placare gli animi degli agricoltori che vedono un futuro meno roseo dei governanti con l’allargamento a Est dell’Unione europea.