Editoriali

La comunicazione olearia ha fallito perchè ha vinto l'individualismo

10 gennaio 2014 | Maurizio Pescari

Oggi scrivono tutti, i giornalisti, gli assaggiatori, gli organizzatori di eventi, i produttori, i blogger e mentre la rete accoglie tutti dall’alto di una democrazia senza controllo, la carta stampata solo alcuni. Tra quelli che conosco, ci sono coloro che scrivono per passione e coloro che sono stati bravi ad unire alla passione la propria attività professionale. Ma sono davvero pochi per la verità, coloro che vivono di questo lavoro. Meritevoli di assoluto rispetto. Altri vivono la passione senza averne fatto una ragione di lavoro (reddito) principale. E’ questo il mio caso. Il mio lavoro è un altro, l'olio è una passione, una forte passione, nella quale penso di saper mettere del mio ed una forma di comunicare che guarda più al produttore che al prodotto.

Ma è l’intero sistema della comunicazione che ha fallito, inutile negarlo: le degustazioni, le categorie merceologiche, i concorsi, non hanno portato a nulla di concreto se non una soddisfazione da condividere tra addetti ai lavori, provocando l’allargamento della forbice dove una punta è dell’olio industriale e l’altra, minima, di quello artigianale. Perché ritengo che almeno sul fatto che esista un olio industriale ed un olio artigianale, si debba essere d’accordo. Questo è un problema reale e non sensazionalismo.

Se nel mondo dell'olio, l’approssimativa cultura di prodotto che esiste anche nei territori ad alta vocazione olivicola, dove l’olivicoltura vive di inevitabili cadenze calendariali, “l’olio più buono è il mio”, semplicemente perché non c’è mai stata disponibilità ad assaggiare quello degli altri, pare che anche nella comunicazione si voglia vivere lo stesso male: “chi scrive bene sono solo io”. E’ palpabile il desiderio di voler essere i soli in grado di farlo. Ognuno fa repubblica per conto suo, indifferente agli altri - quando va bene -, fino ad arrivare in alcuni casi a pretendere di sminuirne il valore sfiorando l'offesa (…“un bel tacer non fu mai scritto”).

Se il mondo dell'olio è ancora oggi in queste condizioni, anche i protagonisti della comunicazione che ne hanno vissuto una parte più o meno rilevante, sono tra i responsabili. Non per cattiva volontà, ma per errore nel messaggio.

In ogni ambito, quando a prevalere sono le individualità, a trarre beneficio sono pochi. Quando all’individualità si sostituisce la squadra e si condividono le strategie, a trarne beneficio è il sistema. Obiettivo verso il quale in tanti a parole dicono di mirare. Da sempre.

Basterebbe smettere di pensare che l’olio più buono è il mio…

Buon anno, finalmente...

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Maurizio Pescari

15 gennaio 2014 ore 14:50

Signor Breccolenti, nessuna volontà di chiudere concorsi, tutti degni di esistere e di mantenere il loro livello ed il valore conseguente. Posso al massimo limitarmi ad auspicare che chi li organizza abbia consapevolezza del reale valore, indipendentemente dai fini politico/istituzionali che li animano. Un concorso, se vuol essere protagonista della crescita reale di un comparto, non si possa limitare ad assaggio, premiazione, fiumi di buone intenzioni e ...ci vediamo il prossimo anno. O far seguire all'assaggio ed alla premiazione, missioni all'estero sull'esito delle quali, magari, potremmo anche cercare informazioni.
Sia io che lei abbiamo un obiettivo comune: la diffusione di una cultura che porti olio vero sulla tavola di tutti i giorni.
E sinceramente se nulla, hanno portato ben poco le parole ed i concorsi dove produttori, esperti, appassionati e degustatori, continuano anno dopo anno a compiacersi ed a parlarsi addosso. Dobbiamo operare per individuare il corretto mercato di riferimento. La ricerca di un mercato tra le migliaia a disposizione dell'olio, deve nascere da una corretta analisi. I produttori di olio artigianale devono farsene una ragione, la loro missione non può avere come obiettivo quello di togliere clienti all'olio industriale. E' una battaglia persa in partenza. E' ora di farla finita con le grida, gli allarmi, gli scandali sul prezzo in cui certi oli sono in vendita sugli scaffali della Gdo. Quello è un altro mestiere! L'olio artigianale non potrà mai raggiungere risultati importanti nei canali della grande distribuzione. Non è il mercato dell'olio artigianale quello!
Da trent'anni di spara nel mucchio generalizzato, dicendo che consumare olio extravergine fa bene. Vagli a dire ora che - senza entrare nella valutazione organolettica - c'è un extravergine artigianale ed uno industriale. E che la differenza è tutta lì!

giovanni breccolenti

15 gennaio 2014 ore 09:11

Lei è un esperto di comunicazione e un giornalista locale apprezzato, io non sono un esperto di questo campo, quindi se lei dice che il sistema comunicazione ha fallito ne prendo atto e in parte condivido: ancora c'è una gran parte di popolazione in Italia che crede che piccante sia sinonimo di acidità.
Non sono d’accordo però con la sua affermazione che le guide, le degustazioni i vari concorsi, lei ne cita tre ottimi io ne aggiungo altri due (ma ce ne sono anche altri), l'oro d'Italia e olio Capitale, non abbiano portato a nulla. Credo invece che le centinaia di aziende eccellenti in tutte le regioni d’Italia abbiano avuto visibilità, grosse opportunità e non ultimo stimoli a fare sempre meglio, proprio grazie a questi; è vero, soprattutto all’estero ma anche in Italia hanno fatto la loro parte.
Lei dice che le eccellenze non contribuiscono minimamente a far crescere il settore, io penso il contrario, cioè che tutto ciò che è fatto al massimo non può che fare bene, e questo non solo nell’olio ma in tutti i settori. Quando lei parla di fare squadra io posso anche condividere, ma fare squadra tra chi? Tra tutto il mondo oleario, tra chi vuole fare solo eccellenze? Tra chi?
E non penso che i concorsi servono solo a chi li vince. Ci sono menzioni, vengono rilasciate schede di valutazione del proprio olio importantissime per il produttore che capisce a che livello è il suo olio e il suo lavoro; alcuni coinvolgono il consumatore finale associato al giudizio di esperti per dare una valutazione, rendendolo partecipe e facendolo crescere allo stesso tempo; insomma dire che tutto ciò non ha portato a nulla mi sembra ingeneroso verso chi organizza con tanta passione queste importanti manifestazioni e che hanno permesso a tante aziende di avere la visibilità meritata e non ultimo a stimolare a far crescere una parte dei consumatori. E’ ovvio che non basta tutto ciò e non si può neanche avere la pretesa di demandare a questi la diffusione di massa della cultura olearia. Per lavorare in tal senso bisogna agire piu in profondità, nelle scuole in primis con corsi o magari inserendo l’educazione alimentare nelle scuole primarie con al centro prodotti tipici e ben incastonati nella nostra cultura e storia, di cui l’olio è il principe. Magari concentrando gli sforzi comunicativi sull’azione salutare dell’olio, tanto maggiore quanto piu l’olio è fatto bene, come oramai riconosciuto dal mondo scientifico.
Sono d’accordo con lei che in tal senso sarebbe utile aprire una discussione.
Un saluto.

Stefano Petrucci

13 gennaio 2014 ore 19:22

Condivido pienamente l’articolo. In un mercato dell’extravergine controllato per il 95% da i primi 10 confezionatori italiani che non si preoccupano neanche minimamente di partecipare ai concorsi o a tutti gli altri eventi o promozioni che si fanno ci sarà un motivo.
L’unica differenza disponibile ad essere pagata dal consumatore è la provenienza. La forza dei brand territoriali è sotto gli occhi non ci vogliono studiosi di marketing per capirlo. Prima i produttori di olio la finiranno di scimmiottare le tecniche di promozione del vino per vendere l’olio e prima si comincerà a fare una riflessione seria su come vendere questo prodotto. Nessuno ha la soluzione in tasca ma perseverare nell’errore è diabolico

Maurizio Pescari

13 gennaio 2014 ore 00:31

Sig. Breccolenti, il "fallimento" è relativo all'efficacia della comunicazione giornalistica in Italia. Il mio intervento non generalizza, è sulla comunicazione ed io, da giornalista, ho espresso considerazioni su quel comparto. Non sta a me proporre come risolvere i problemi secolari che il settore ha nel nostro Paese. Da osservatore valuto i fatti e sulle valutazioni possiamo aprire un auspicabile confronto.
1) - I concorsi hanno valore solo per chi vince, in alcuni mercati esteri, ma ben poco in Italia. Il lavoro del produttore non si valuta con l'assaggio dell'olio in concorsi ai quali partecipano solo le eccellenze e che non contribuiscono minimamente a far crescere il settore. Le eccellenze sono solo la piccola punta di un iceberg sommerso dove vive la gran parte di produttori che hanno solo bisogno di attenzione per crescere qualitativamente. L'Italia dell'olio non è fatta solo dalle eccellenze. E poi, mi vuol dire qual è il peso reale dell'Ercole Olivario, della Sirena d'Oro, del Sol d'Oro..., sul consumatore finale?
Il comparto per crescere deve migliorare qualitativamente sin dalla base e non puntare solo sulle eccellenze. E la base non la guarda nessuno.
In quello che resta dei grandi territori dell'olio, la qualità reale sta scendendo. Il marchio territoriale è talmente forte in certe regioni che non è necessario produrre grandi oli per venderli. Nell'olio, ma non solo nell'olio, non esiste un prodotto che è buono solo per il fatto che proviene da un territorio determinato. Visto che sia io che lei siamo umbri, è ora di farla finita di dire che l'olio umbro è buono! L'olio non è buono perché è umbro, lo è perché in Umbria, all'alta vocazione olivicola, si unisce la competenza di olivicoltori e frantoiani che determinano in maniera decisiva che da belle olive possa essere estratto un buon olio. Ma è l'uomo che fa l'olio buono, non solo la pianta. E logicamente questo mio discorso non vale solo per l'Umbria, ma per la Toscana, la Liguria, il Garda, tutti i grandi territori dove il "marchio" territoriale risolve molti problemi commerciali. Mentre in altri regioni, dove il "marchio" ha un peso diverso, cambia il valore commerciale ed il prezzo, indipendentemente dalla qualità del prodotto.

giovanni breccolenti

12 gennaio 2014 ore 10:08

Sig. Pescari, lei parla di fallimento di un vero sviluppo della cultura dell’olio e dice che i concorsi, le degustazioni le categorie merceologiche non hanno portato a nulla di concreto in tal senso. Questo sistema della comunicazione non funziona. Cosa propone quindi, in sostanza? Lo smantellamento di molti concorsi seri, la fine delle degustazioni o il potenziamento e il miglioramento di questi momenti importanti in cui esperti e appassionati valutano il lavoro del produttore? O un sistema alternativo di comunicazione di cui pero’ non trovo traccia nel suo articolo a parte le considerazioni di individualismo e di errore di messaggio? Qual è quindi il messaggio giusto da proporre e in che modo dovrebbe essere proposto?
L’olio, per crescere sempre piu’ ha bisogno di tante cose, di professionalità in tutti i punti della filiera( produttore, trasformatore, assaggiatore, comunicatore), di investimenti mirati, di trasparenza e di visibilità .
I nostri olivi, i nostri meravigliosi produttori hanno un futuro solo se si riuscirà a fare il meglio ma per fa far si che questo meglio venga apprezzato bisogna insegnarlo in ognidove(soprattutto nelle scuole), bisogna far conoscere i veri profumi dell’olio fatto bene, far capire l’importanza dell’amaro (quello giusto) e del piccante,e sfuttare al massimo il fatto che a queste due sensazione si associano effetti benefici per la salute,come oramai il mondo scientifico ha ben appurato.
Ben vengano quindi i concorsi fatti bene, le guide serie, le degustazioni come parte di un sistema di comunicazione. Diciamo che non basta, questo si. Si puo’ fare di piu’ (soprattutto a livello politico e associativo) ma parlare di fallimento e soprattutto attribuirlo a chi ha contribuito e spero contribuirà sempre piu’ a far conoscere le peculiarità dell’olio nel mondo non mi sembra ne’ giusto ne appropriato.

NICOLA BOVOLI

11 gennaio 2014 ore 01:57

Buon Anno anche a te caro Maurizio.
E speriamo che questo 2014 vigilia del 2015 (anno dell'EXPO) porti consiglio a chi crede che l'olio più buono sia il suo...
Io personalmente ho sempre pensato che essere in buona compagnia sia meglio che lottare da soli una improba battaglia contro l'olio industriale. Se i produttori di oli di qualità vogliono vincere la guerra contro gli oli industriali devono essere uniti e guardare ai colleghi produttori artigianali come compagni di viaggio per far conoscere al pubblico le caratteristiche dell'olio di qualità.