Editoriali

PIANO OLIVICOLO NAZIONALE

09 aprile 2005 | Alberto Grimelli

Si torna a parlare di Piano Olivicolo Nazionale, anche se sotto mentite spoglie.
Nessuno, infatti, dopo tante promesse mancate e cocenti delusioni si sente più di citare col suo vero nome quella pianificazione e programma di interventi che in altri paesi, vedi la Spagna, ha portato a un rilancio dell’olivicoltura.
Se ne parla sottovoce, senza voler alimentare aspettative, quasi sapendo che anche questa ennesima occasione andrà perduta.

La riforma dell’organizzazione comune di mercato, l’introduzione delle denominazioni d’origine, l’obbligo del confezionamento, la revisione delle categorie commerciali e, in ultimo, l’introduzione della rintracciabilità obbligatoria hanno segnato una svolta, hanno cambiato le prospettive.
Nel volgere di pochi anni un intero sistema di regole è crollato.

Ovvio che l’olivicoltore, in particolare i più anziani e meno dinamici, si sia sentito spaesato e disorientato rispetto a uno scenario che mutava così rapidamente. Ha così tentato di adattarsi, di volta in volta, ai nuovi regolamenti comunitari, alle nuove norme. “S’ha da fare” hanno pensato in tanti, brontolando contro l’inettitudine dei governanti. I costi di produzione, frattanto, salivano e il prezzo dell’olio scendeva. Che fare?

Gli imprenditori più attivi e innovativi, che hanno fiutato il vento del cambiamento, hanno iniziato a imbottigliare, a proporsi direttamente sul mercato, a promuovere il loro prodotto. Hanno avviato azioni atte a valorizzare l’extra vergine, anche attraverso marchi di qualità e d’origine. Hanno cominciato a dargli un valore aggiunto. Si sono però spesso imbattuti in un mercato del tutto impreparato a gestire un olio diverso, di alta qualità, e quindi anche di prezzo più elevato. Ristoratori e commercianti, ancora adesso, nella maggioranza dei casi, non riescono a cogliere e a comprendere una rivoluzione culturale che pare aver investito soltanto il mondo della produzione. “Perchè devo pagare così tanto un olio, non è forse tutto extra vergine?”, questa è l’obiezione più comune e diffusa. Tanto più i consumatori per i quali il fattore discriminante risulta ancora il prezzo. Ci si scontra con un muro di gomma, difficile da abbattere se ci si rimbalza contro.

Le organizzazioni di categoria si sono mosse in maniera del tutto inadeguata di fronte a questo cambiamento storico.
Nessun intervento è stato proposto per modernizzare l’olivicoltura del Sud Italia, spesso ancorata a modelli produttivi superati. Nessuna pressione sul governo affinchè favorisse un rinnovo e una razionalizzazione degli impianti. Qualche convegno, qualche dimostrazione in campo di macchinari per spendere i soldi dei programmi europei di miglioramento della qualità, nulla più.
Le campagne promozionali, realizzate con ingenti finanziamenti pubblici, hanno promosso un generico extra vergine d’oliva, raramente e distrattamente si sono occupate di spiegare le differenze tra oli di qualità e un indefinito “primo prezzo”.
Come recentemente denunciato dal direttore generale della Federazione italiana dei pubblici esercizi non vi è stata alcuna collaborazione con le associazioni dei ristoratori e commercianti, anche dopo inviti della stessa Fipe a operare e lavorare insieme, di comune accordo.
In conclusione: un fallimento su tutta la linea.

In un recente articolo, apparso su “L’Informatore agrario”, a firma del direttore dell’Unaprol Ranieri Filo della Torre, nel paragrafo intitolato “cosa serve al settore”, si delinea una strategia piuttosto definita e chiara, aggiungerei assolutamente condivisibile.
Si parla infatti di “razionalizzare gli impianti e la rete dei frantoi”, “sviluppare una rete di concentrazione dell’offerta”, “promozione e informazione al consumatore... rivolti verso gli operatori e le enoteche”, “attuare servizi di mercato legati ai processi di tracciabilità, certificazione”...
Ecco arrivare, in conclusione, la doccia fredda.
“Su questi aspetti sarebbe interessante aprire un forte dibattito nel Paese, definendo una cabina di regia capace di portare avanti con urgenza e determinazione a livello globale l’enorme ricchezza rappresentata dalla nostra olivicoltura. Strutture centrali, Regioni e organizzazioni della filiera dovrebbero misurarsi quanto prima per dare una risposta e una opportunità alla grande marcia verso il mercato delle nostre imprese olivicole.”

Caro Ranieri Filo della Torre, non ci credo più.