Editoriali

Non sarà né breve né facile

03 dicembre 2011 | Alfonso Pascale

Non è solo l’agricoltura a rischio, ma l’intera economia nazionale. Ora abbiamo innanzitutto il dovere di sostenere l’iniziativa del governo Monti volta a realizzare i provvedimenti concordati coi principali partners europei, evitando che si aprano derive senza ritorno. Bisogna vigilare perché i corporativismi e gli interessi particolari di qualsiasi gruppo sociale non intralcino l’azione del governo coi soliti giochi delle parti. Deve prevalere al massimo livello il senso di responsabilità da parte di tutti per fare quello che è necessario fare e che è già scritto negli accordi con gli altri Paesi europei.

Si dovrà, nello stesso tempo, discutere come il governo procede nell’investire le risorse che si riusciranno a risparmiare per favorire la crescita, apportando alcune riforme strutturali che avremmo già dovuto realizzare da tempo e che ora siamo costretti a fare sotto la mannaia della crisi.

I temi che riguardano l’agricoltura sono molteplici: la riforma della pubblica amministrazione e lo snellimento delle procedure nel rapporto tra imprese e istituzioni; le facilitazioni per avviare nuove iniziative in agricoltura soprattutto da parte di chi proviene da altri settori; la formazione e l’istruzione; il governo del mercato del lavoro, riordinando la previdenza agricola che soprattutto nel Sud ostacola il funzionamento dei centri per l’impiego, ecc.

Non sarà un percorso facile e breve. Ci vorrà tempo e sarà necessario un cambiamento profondo nel modo di pensare lo sviluppo da parte delle imprese, dei cittadini e delle istituzioni. Non torneremo a come eravamo prima. Dovremo abbandonare abitudini consolidate per adottare modelli produttivi e di consumo più sostenibili, uscire dalle logiche assistenzialistiche, esprimere un protagonismo nuovo della società civile organizzata e una capacità delle istituzioni di riconoscerlo e accompagnarlo.

L’agricoltura dovrà fare la sua parte perché in essa convivono il vecchio e il nuovo in modo molto stretto; e la componente innovativa del settore deve farsi sentire e spingere per non farsi soffocare da quella che resiste al cambiamento.

In questa situazione molto delicata nel nostro Paese, le organizzazioni di rappresentanza sono concentrate particolarmente sul negoziato per la riforma della Pac. E’ giusto che sia così perché l’intervento comunitario costituisce la componente più rilevante della spesa pubblica agricola complessiva. Ma la posizione italiana sulla Pac non si sta mostrando all’altezza delle sfide che si sono aperte in Europa e nel mondo, e soprattutto non esprime una proposta che permetta all’agricoltura di contribuire al superamento della crisi economica. Tutta l’attenzione è rivolta agli aiuti al reddito degli agricoltori, alle sue quantità e ai criteri di redistribuzione, che sono aspetti da non trascurare ma non sono fondamentali per riavviare percorsi di sviluppo.

Non c’è una riflessione sulle debolezze strutturali dell’agricoltura, dell’agroalimentare e dei territori rurali e sui limiti delle politiche pubbliche che dovrebbero fronteggiare tali fragilità e ridurre gli elementi negativi. Le Regioni stanno spendendo malissimo le risorse per lo sviluppo rurale, cioè per gli investimenti aziendali, le infrastrutture organizzative al fine di fronteggiare i mercati e aprirne di nuovi e per attrarre investimenti in attività contigue a quelle agricole e che con queste possano integrarsi. Non ci sono affatto risultati positivi in termini di sviluppo locale nonostante le risorse impiegate e gli sforzi organizzativi prodotti.

Il motivo principale di questa situazione è che la Pac, in tutti questi anni, ha eroso il capitale sociale che esisteva nelle campagne. Intervenendo massicciamente a favore dei produttori agricoli presi singolarmente con gli aiuti diretti e non mediante strumenti che favorissero percorsi aggregativi e relazioni con altri soggetti economici del territorio, si sono distrutti beni relazionali oggi indispensabili per risollevarsi dalla crisi.
Inoltre, non si è fatto nessuno sforzo per rinnovare le istituzioni che dovrebbero promuovere lo sviluppo rurale e favorire la governance dei percorsi partecipativi e progettuali, immettendo competenze adeguate, snellendo procedure burocratiche, agevolando l’integrazione di politiche diverse. Un’innovazione sociale che dovrebbe riguardare sia lo Stato che le Regioni, unificando gli enti strumentali e i programmi operativi per conseguire efficienza ed efficacia e diffondendo i networks di imprese.

Mancano del tutto gli investimenti nella ricerca e un collegamento stretto tra istituzioni pubbliche di ricerca e mondo produttivo. E’ assente completamente una strategia del sistema Paese per incontrare i bisogni sociali che milioni di nuovi consumatori esprimeranno nei prossimi anni nei Paesi emergenti. Non si tratta di agire solo con il marketing e la comunicazione e invocando regole contro l’agropirateria, ma creando programmi di cooperazione coi singoli Paesi che puntino a trasformare i bisogni sociali dei cittadini in domanda strutturata mediante scambi che riguardino, insieme ai prodotti, anche le culture alimentari. Si tratta di adottare e sviluppare modelli di competizione di tipo cooperativo per affermarli come modalità che possano affiancare gli attuali modelli di competitività di tipo posizionale, concepiti come una guerra continua che porta alla lunga alla disfatta i soggetti economici più deboli.

Com’è noto, l’agricoltura italiana, al pari di quella europea e mondiale, è caratterizzata da tre traiettorie di sviluppo che appaiono contraddittorie tra di loro ma in realtà sono complementari:

1) l’agricoltura industrializzata che persegue costantemente la crescita della dimensione di scala per poter sopravvivere;

2) l’agricoltura multifunzionale che realizza economie di scopo e crea nuovi mercati;

3) l’agricoltura che disattiva la funzione produttiva per privilegiare altre attività come la creazione di energia, la fornitura di servizi sociali, culturali, ambientali e ricreativi oppure la costruzione di abitazioni nelle aree periurbane.

Queste tre agricolture non si differenziano in base alle dimensioni aziendali ma alla capacità di tenere insieme elementi materiali e sociali. Oggi, in modo suicida, questi tre percorsi dell’evoluzione del settore agricolo sono visti in contrapposizione tra loro, mentre potrebbero convivere in modo armonioso, qualora fossero governati unitariamente per ridurre gli aspetti negativi, esaltare quelli positivi e alimentare le interconnessioni al fine di accrescere la competitività, la coesione sociale e la qualità dello sviluppo territoriale.

C’è ancora un futuro per la nostra agricoltura? Dipende da tutti noi. La società contemporanea si trova oggi ad affrontare l’insicurezza alimentare, la crisi energetica, il depauperamento delle risorse naturali, gli effetti dei cambiamenti climatici, l’intensificazione dei flussi migratori specie verso le aree metropolitane, che sono sfide gigantesche al cui centro si trovano l’agricoltura e i territori rurali. Non siamo, dunque, dinanzi ad un mero settore economico che riguarda solo le imprese agricole e chi vi lavora, ma ad un complesso di attività produttive e di spazi vitali che interessano direttamente i cittadini, la qualità delle loro vite, le prospettive per le generazioni future. Si potrebbe affermare, senza tèma di esagerare, che il modo come si uscirà dalla crisi economica dipenderà anche da come verranno affrontati i problemi dell’agricoltura e delle campagne.

Purtroppo, mancano operatori culturali e comunicatori capaci di offrire strumenti informativi per sviluppare una consapevolezza della popolazione sull’importanza che l’agricoltura ha per le sorti della collettività. Non si fa più inchiesta militante, intesa come autoapprendimento collettivo di quello che si è e di dove si vuole andare. E se non crescerà questa consapevolezza, l’agricoltura continuerà ad essere lasciata nelle mani di interessi particolari che sanno gridano più forte e attraggono attenzione su aspetti marginali, a volte in modo controproducente. E non ci sarà più un futuro per lei, ma si produrrà un terribile impoverimento non solo economico, bensì culturale e sociale, per tutti.

 

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EMILIO FRANCIOSO

08 dicembre 2011 ore 20:18

Galeone mette il dito nella piaga. Io, da consumatore di agricoltura, traduco i suoi dati e i suoi importanti rilievi nel pressapochismo della politica e nelle risposte fintamente indignate di una filiera stanca e demotivata. E sento in Pascale la voglia di costruire denunciando l'evidenza: "mancano operatori culturali e comunicatori capaci di offrire strumenti informativi per sviluppare una consapevolezza della popolazione sull’importanza che l’agricoltura ha per le sorti della collettività". La battaglia/negoziato sulla Pac deve smettere di essere una vetrina di particolarismi disorientati e poco lungimiranti. Se ci fosse più cultura tra i cittadini saremmo in grado di attivare un osservatorio capace di offrire spunti o "sentimenti" spinti dalla voglia di partecipare. Vale per l'Italia come per ogni nazione europea. Ma sta agli addetti ai lavori trovare il modo di coinvolgere la popolazione su temi così essenziali per il nostro vivere quotidiano. Sta agli addetti ai lavori fare pressioni per attivare una volontà poco percepita e percepibile. E nella filiera corta questo sentimento è già forte e capace di fare opinione più che in passato. Ma, in tempi di crisi, anche la grande distribuzione saprebbe trarne ampi benefici. La chiave di volta su cui fare perno è già nota: che cosa c'è di più importante di "cibo" e, aggiungo, "salute"? E sappiamo bene quanto siano interconnesse queste voci!
Ed ha ragione Galeone quando nota che c'è già un "ricambio mancato". E le conseguenze sono talmente evidenti che qualcuno punta fortemente a sostenere in Europa la promozione della "selvaticità" solo sperando che si trovino nuove opportunità di investimento nella terra che stiano ben lontane dall'agricoltura (ed anche dal selvatico...).

Una parola per l'intervento di Giannone, anch'io senza spirito di polemica. Comprensibile lo sfogo, ma IGITUR? Siccome la storia è fatta di corsi e ricorsi che dobbiamo fare?! Mettere la testa sotto la sabbia e il sedere rivolto ai nuovi mercanti? Se lei è già rassegnato perché sta in trincea, si arrenda! Ma se fossi in lei tenterei, anche con le emozioni e con la storia, a marcare il territorio!

Donato Galeone

08 dicembre 2011 ore 10:51

Causa interruzione internet la mia e-mail di commento è stata interrotta.


""" L'editoriale di Alfonso Pascale ed i tre commenti di Francioso,Giannone e Maria Anna Bellino riconfermano quanto già - a mio avviso - ci attendevamo sin dal 2008 e che la crisi non sarebbe stata "nè breve e nè facile" per tentare di "salvare l'Italia" come ha dichiarato in Parlamento il neo Senatore Prof. Mario Monti, con la "informativa" del Governo richiamdo - più volte - "rigore,equità e sviluppo".
Concordo, con Pascale, che i temi che riguardano l'agricolrura - non da oggi - sono molteplici e che "l'agricoltura dovrà fare la sua parte" per concorrere a superare il "rischio" possibile dell'intera economia nazionale.
Così come deve essere "essenziale" per l'Italia il negoziato in atto sulla Politica Agricola Comunitaria (PAC) - oltre il 2013 - per "lo sviluppo agricolo vero" e le attività ad esso connesse, programmabili e sostenibili - praticabili - fino al 2020.
Ma se l'agricoltura "deve fare la sua parte" - prima in Italia ed in Europa - quale sarà la "proposta italiana" - qualificante, condivisa e credibile che dovrebbe "produrre sviluppo" e conseguente lavoro e redditto agli addetti, per concorrere - in parte - alla riduzione del debito pubblico??? E' questa la domanda che tutti dobbiamo farci!!
Conosciamo che il sostegno allo sviluppo territoriale delle nostre "agricolture" conta una disponibilità di spesa pubblica complessiva nazionale assegnata con i PSR 2007-2013 pari a 17.642.643.254,00 € ed alla mia Regione Lazio è stata riconosciuta una dotazione finanziaria complessiva di 703.933.071,00 €.
Mi permetto, commentando l'editoriale di Alfonso Pascale, di considerare e sollecitare una responsabile e seria riflessione - innazitutto - verso le burocrazie ministeriali e regionali - richiamando e chiedendo a loro convincenti motivazioni sui "RITARDI" regionali nell'avanzamento della spesa, perchè siamo oltre la metà del percorso pluriennale dei Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) 2007-2013 e l'avanzamento della spesa pubblica complessiva è di appena il 30,33% a livello nazionale e nella mia Regione Lazio, inferiore percentualmente - del 25,75% - alla data del 15 ottobre.
Sono questi i"RITARDI" immotivati - gravissimi - che hanno un costo, forzoso, irrecuperabile - direttamante - per gli agricoltori e per l'economia italiana richiamati sollennemente l'altro giorno dal nostro Presidente della Repubblica.
E, spesso, in presenza di risorse spendibili che, però, non si utilizzano nei tempi dovuti. In presenza di tali inefficeinza, però, in Europa le rappresentanze del nostro Paese, nei diversificati tavoli negoziali, continuano a spargere in abbondanza le artificiose "lacrime di coccodrillo" in quanto siamo - nella redistribuzione delle risorse ai 27 Paesi UE - penalizzati con la perdita di circa 300 milioni di euro, prevedibili, dalla programmazione agricola comunitaria di sviluppo rurale 2014-2020 (leggere Teatro Naturale del 15 ottobre 2011).
Alfonso Pascale avrà anche osservato che quel minimale 30,33% nazionale ed io aggiungo, quell'inferiore percentuale del 25,75% laziale di avanzamento di spesa NON E'ORIENTATA - anche per carenza risorse imprenditoriali - verso misure del PSR mirate, essenzialmente, lungo quelle "traiettoreie di sviluppo" dell'impresa agricola (ammodernamento, accrescimento del valore aggiunto dei prodotti agricoli e del valore economico delle foreste) a fronte, invece, delle pur necessarie misure delle"indennità per svantaggi naturali a favore di agricoltori, che è del 71,76% in Italia e del 78,63% nel Lazio.
Stessa osservazione che dovrebbe favorire il "ricambio generazionale" sul "lavoro nelle campagne". Si rileva l'orientamento incerto verso l'insediamento dei "giovani agricoltori"
che si integra con la scarsa ricomposizione fondiaria e l'ammodernamento della impresa, congiunti ai servizi di consulenza aziendale.
Inoltre, la misura che dovrebbe promuovere, ripeto, il "ricambio generazionale" raggiunge appena il 36,00% in Italia ed il 16,54 nel Lazio. Peraltro, risulta maggiore di altra misura PSR il "prepensionameto" che è del 43,18% in Italia e del 24,57% nel Lazio.
Con queste osservazioni e richiami,l'ampio editoriale di Alfonso Pascale è attualissimo - a mio avviso - perchè ha il merito di alimentare il necessario confronto - propositivo e razionale.
Riapre attenzioni e integrazioni suscitando "impegni e approfondimenti"
necessari per "sviluppare consapevolezza" tanto tra noi tecnici agrari, giovani e meno giovani, quanto con gli agricoltori - di ieri e di oggi - e con i consumatori, coscienti "dell'importanza che l'agricoltura ha per le sorti della collettiva"""".
Donato Galeone

Raffaele Giannone

07 dicembre 2011 ore 18:59

Voce fuori dal coro,ma senza spirito di polemica!
Ho sempre una forma di ritrosia per le analisi "onnicomprensive" o di "ampio respiro" come quella del sicuramente dotto e informato Pascale.
Si parte da una "fideistica" simpatia per il governo di Monti....che pure finora non è poi stato così distante e distinto dalle stanze delle decisioni generali....o sbaglio? (leggasi Commissario CEE)
In un mondo pervaso di grandi fratelli..isole dei famosi..vespa e fede vari....ci si augura uno "sviluppo della consapevolezza nella popolazione.."
In un'Europa di skizo-burocrati che disquisisce sulla dimensione delle banane o sulla composizione del cioccolato... fra uno spread e un tonfo in borsa...fra un minareto piuttosto che un campanile,volete che qualcuno investa e creda nell'agricoltura come forma di riscatto culturale,sociale ed economico della nostra stanca civiltà?

Sagunto...sta per cadere nell'assedio...e altrove (Italia compresa) si pontifica...
Non resta che sperare che da questa vichianamente ciclica ricaduta dell'impero d'occidente..nasca una nuova e più forte CIVILTA' EUROPEA, basata sulla cultura,sul rispetto del glorioso passato e sull emozione per l'avvenire, foss'anche sotto la spinta "barbara" dei nuovi Unni...extracomunitari...cinesi...indiani...i quali hanno ben poco da perdere...e, per questo,..vinceranno.
Con buona pace della capitalizzazione delle nostre aziende..dei piani europei di sostegno...e dei meritevoli propositi di Pascale!!
Raffaele Giannone, lib.prof.,olivicoltore e frantoiano ..in trincea!

Donato Galeone

07 dicembre 2011 ore 15:30

Leditorale

EMILIO FRANCIOSO

05 dicembre 2011 ore 22:58

Che dire? Sottoscrivo senza cambiare una virgola. Caro Pascale per me lei è il Ministro dell'agricoltura ideale. Qui c'è competenza e senso della Polis. E' così che si deve costruire!

MARIA ANNA BELLINO

05 dicembre 2011 ore 14:10

Il dottor Pscali ha centrato perfettamente il problema,ma come farlo capire
ai diretti interessati sara' un lavoro difficile,gli agricoltori sono diffidenti per natura e poco restii alle aggregazioni sopratutto al sud.le associazioni di categoria stanno benissimo anche lavorando poco, e le aziende che vogliono cambiare o migliorare o emergere sono penalizzate dal sistema,parlo per esperienza personale,sto chiedendo da circa due anni la collaborazione della filiera per uno sviluppo migliore delle aziende olivicole nel nostro territorio,ma i risultati nonostante il coinvolgimento di associazioni o altro tardano ad arrivare.