Editoriali

Lottare per il cibo

15 ottobre 2011 | Graziano Alderighi

Niente è più lontano dalla nostra mentalità che lottare per il cibo, eppure la fame e la sottonutrizione riguardano quasi un miliardo di persone, un dato in crescita, purtroppo.

La causa di questa inversione di tendenza va ravvisata nell'elevata volatilità dei prezzi alimentari che sono destinati a rimanere sostenuti, e forse ad aumentare.

Questa è la previsione del rapporto annuale sulla fame nel mondo “The State of Food Insecurity in the World”, quest'anno redatto congiuntamente dalle tre agenzie di Roma: la Fao, (l'Organizzazione ONU per l'alimentazione e l'agricoltura), l'Ifad (il Fondo Internazionale per lo sviluppo agricolo) ed il Pam (il Programma alimentare mondiale).

Il rapporto 2011 indica in 925 milioni le persone che nel 2010 soffrivano la fame, contro gli 850 del 2006-2008.

Il fulcro, il cuore dell'analisi è però l'influenza, decisiva, della volatilità dei prezzi dei prodotti agricoli e alimentari per le popolazioni dei paesi in via di sviluppo e non solo.

Secondo Stefano Piziali, curatore italiano del rapporto, “l'aumento e la volatilità dei prezzi dipendono soprattutto dalla crescita dell'uso di colture per biocarburanti, dalla speculazione con la crescita del volume degli scambi dei "futures" delle materie prime e dai cambiamenti climatici”. Questi fattori sono esacerbati dall'alta concentrazione dei mercati di esportazione, che ha determinato una dipendenza degli importatori mondiali di alimenti di base da pochi Paesi, da un livello storicamente basso di riserve di grano e dalla mancanza di informazioni puntuali sul sistema alimentare mondiale, che potrebbero aiutare a prevenire reazioni eccessive, a fronte di modesti cambiamenti della domanda e dell'offerta.

Un quadro decisamente preoccupante se consideriamo che alcuni di questi fattori sono di fatto incontrollabili, come i cambiamenti climatici, e su altri, come la speculazione internazionale, la capacità politica di intervento dei governi è ridotta ai minimi termini.

Alle prese con la crisi economica, le strette sui bilanci pubblici e le varie beghe politiche che stanno attanagliando tutti i paesi occidentali, la capacità di visione strategica dei leader mondiali appare decisamente offuscata.

Non mancano le analisi, non mancano gli appelli, non mancano le proposte e le idee. Manca la volontà.

Oggi si pensa al petrolio e da altre fonti energetiche, si cercano soluzioni per ridurre la dipendenza da un oligopolio che non è mai stato contrastato, domani si dovrà fare lo stesso per il cibo.

Il vero nodo è che la governance della globalizzazione e dei relativi problemi.

In evidente carenza di una salda guida politica, la leadership se la sono accaparrata i poteri economici capaci non solo di condizionare le scelte dei governi attraverso ricatti, come le delocalizzazioni, o munifiche elargizioni. La sola economia, o per meglio dire la logica capitalistica, non può però guidare da sola la società.

Il capitalismo è nato grazie a una serie di regole che tutelano la proprietà privata, che favoriscono l'iniziativa e l'intraprendenza individuale, che premiano l'impresa come soggetto economico.

Il capitalismo è nato cioè grazie a un patto sociale ma i patti sociali possono rapidamente deteriorarsi e degenerare quando vengono meno i principi fondamentali, i diritti dell'uomo.

E quale diritto è più sacro della sopravvivenza?