Editoriali

Agricoltura e contadini secondo Petrini

02 luglio 2011 | Alberto Grimelli

Devo ammettere che fatico a comprendere Petrini e Slow Food perchè i contenuti di certe comunicazioni e affermazioni contengono in egual misura idee e proposte sensate quanto voli pindarici ed idealismi che paiono non tener conto della moderna realtà internazionale.

Anche il questa circostanza il patron e guru Carlin non ha mancato di stupirmi e disorientarmi.

L'occasione è stata la cerimonia del “Premio Trabucchi alla passione civile”.

“Cinque multinazionali detengono l'80% delle sementi del mondo. Deve aumentare quel 20% di produttori indipendenti per salvare i semi e i frutti in estinzione, una pratica da riprendere, prima che ci prendano l'anima, perché una volta il potere, per sopravvivere, aveva bisogno di conquistare terre, oggi gli basta controllare l'agricoltura”.

Al di là delle cifre assolute, la questione affrontata da Petrini è effettivamente seria ed è stata più volte analizzata anche in editoriali e commenti da Teatro Naturale.

La formazione di un monopolio o un oligopolio è effettivamente altamente pericoloso. E' infatti chiaro che un simile cartello potrebbe controllare l'agricoltura, scegliendo differenti politiche commerciali per diverse aree del mondo e così condizionando le semine e, indirettamente, le quotazioni di diverse commotities agricole.

L'analisi è quindi condivisibile, la soluzione è invece alquanto fantasiosa. Spesso i semi e le piante in via di estinzione sono o sono state abbandonate perchè poco produttive e perchè presentavano una serie di problemi agronomici ed economici.

La riscoperta di talune di queste può certamente essere utile ma non è detto che tutto ciò che è old, vecchio, tradizionale sia anche fruttuoso e fruttifero. Come per ogni ambito economico-sociale, occorre far tesoro del proprio passato e non scordarlo mai ma è necessario anche guardare avanti.

Innovazione significa anche rendere le colture agrarie più produttive, meno attaccabili dai parassiti, con minor fabbisogno di input energetici (acqua, concimi, lavorazioni del suolo...). I programmi di miglioramento genetico, che non significa solo ogm, sono quindi necessari e sono stati compiuti dall'uomo fin dalle epoche storiche più lontane. Demonizzarli è disconoscere il nostro passato contadino, perchè molte delle varietà che coltiviamo oggi sono, almeno in parte, il frutto del lavoro dei nostri trisavoli.

Il vero problema consiste nel fatto che i programmi di miglioramento genetico si sono trasferiti, lentamente, quasi impercettibilmente e nell'indifferenza generale, dal settore pubblico al settore privato. Naturalmente le Università svolgono ancora programmi di miglioramento genetico ma questi, spesso, sono finanziati dalle grandi multinazionali che ne possono brevettare i risultati e goderne i frutti.

Per riequilibrare la situazione, occorre che il pubblico si riappropri di questo asset strategico, attraverso un sistema normativo di tutela e salvaguardia dell'interesse generale. I contadini custodi, spesso sovvenzionati con fondi statali, svolgono un ruolo meritorio nella conservazione del passato ma hanno una funzione “museale” a fronte della necessità per l'agricoltura, come per ogni altro settore economico, di evolvere, progredire e innovare.

“Siamo diventati un paese incivile, dove non c'è più l'orgoglio di essere contadini rispettosi della propria storia e della propria memoria. Non abbiamo più il ricordo di quando emigranti su bastimenti che affondavano nel Mediterraneo e nell'Oceano eravamo noi, e non abbiamo il coraggio di dire che tutti i prodotti Made in Italy di cui ancora ci vantiamo, dal prosciutto, al Parmigiano ai pomodori pelati ci sono ancora perché ci sono lavoratori stranieri, italiani a pieno titolo: il Barolo è fatto da 20mila macedoni che potano, vendemmiano e lavorano nelle cantine e lo stesso per il Parmigiano, garantito da 6mila mungitori indiani sikh della pianura padana. Questi sono i nuovi contadini italiani ed è ora di farla finita con una demagogia da strapazzo.”

Innanzitutto bisogna chiarirsi su cosa si intende per contadino perchè, a seconda delle accezioni che utilizziamo, le sfumature del significato possono cambiare.

Se per contadino intendiamo genericamente l'abitante del contado, ovvero delle campagna che si dedica, anche in maniera hobbistica, alla coltivazione della terra, ebbene si tratta effettivamente di un genere in via di estinzione. Di origine post feudale, periodo in cui gli abitanti dei borghi si contrapponevano a quelli della campagna, non ha più senso nell'accezione sociale moderna dove l'istruzione e gli stili di vita, le possibilità di collegamento reale e virtuale rendono sempre meno accentuato il divario.

Se per contadino intendiamo genericamente chi lavora la terra, includendo quindi tanto gli operai quanto gli imprenditori agricoli, allora Petrini ha ragione. I lavoratori e braccianti agricoli sono spesso stranieri ma tale fenomeno non riguarda solo l'agricoltura ma tutti i comparti in cui è richiesta manualità. Non si trovano più ciabattini, panettieri, vetrai. Il lavoro di concetto nobilita, quello manuale umilia. E' un'idea che permea la società contemporanea e che porta, inevitabilmente, all'abbandono di tante mansioni che però sono indispensabili nel sistema economico e d'impresa.

Se, in ultimo, per contadino intendiamo l'imprenditore agricolo, ovvero colui che deve vivere dei proventi dell'azienda, delle sue produzioni ecco allora che il lavoro manuale è solo una componente e spesso non la più importante. Non si può ridurre l'imprenditore agricolo moderno, che deve stare al passo con l'innovazione tecnica e tecnologica, oltre che con normative e amministrazione, dedicandosi al contempo al marketing e al commercio, alla figura del vecchio contadino che torna a casa con i calli sulle mani e la schiena rotta.

Chi è quindi il contadino per Petrini? Difficile, molto difficile capirlo e interpretare il suo pensiero che ondeggia tra la figura del lavoratore della terra, purchè sia, e quello dell'imprenditore agricolo.

Riporto infatti da LaRepubblica del 18 luglio 2010.

“sono sempre meno rari i casi di nuovi contadini, giovani, che attuano un’agricoltura rispettosa degli ecosistemi e che mettono in pratica forme di commercio originali per andare incontro ai cittadini. Usano Internet e vanno a vendere in città, nei mercati. Hanno studiato e continuano a studiare per rendere le loro produzioni migliori, sia dal punto di vista qualitativo sia in termini ambientali, facendo tesoro della tradizione ma con tanta creatività e spirito d’innovazione. Si può dire che siano i nuovi intellettuali della terra, gli ultimi baluardi che difendono il buono e il bello che sa generare il nostro Paese.”

E' chiaro ed assolutamente apprezzabile il tentativo di rivalutare e valorizzare l'agricoltura e i suoi attori.

E' però corretto o possibile associare, in una visione bucolica e romantica dell'agricoltura, due figure che, in ogni altro settore produttivo, sono ben divise e separate, con diverse rappresentanze perchè con differenti, necessità ed esigenze?

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Giuliano Vitali

03 luglio 2011 ore 19:01

In merito alla definizione di 'contadino' su cui verte molta della discussione di Grimelli,
potrebbe risultare utile la lettura di http://www.donzelli.it/libro/2119/i-nuovi-contadini.
Contadino è in questo caso la traduzione italiana di 'paesant' e riflette un modo di intendere
l'agricoltura non solo come tipologia di attività produttiva, ma anche come tipologia di insediamento,
nel cui genere rientrano agriturismi, ecovillaggi, permacultura,..il cui trend è limitato ma crescente.

Alfonso Pascale

03 luglio 2011 ore 04:04

Il merito di Petrini e di Slow Food è stato quello di inserirsi nella grande corrente di coloro che richiedono di far riemergere le passioni, gli ideali, i rapporti umani sottostanti il mercato e di non ridurli a merci perché non sono merci. In particolare, il loro merito è stato quello di interpretare per primi tale esigenza nella moderna economia del cibo, richiamandosi alle tradizioni del mondo contadino.
In questo senso, l'agricoltura neocontadina e i neocontadini sono entità che in altri settori economici si definiscono imprese civili: quelle che sanno fermarsi al punto giusto nel processo di trasformazione (oggi inesorabile nella società di mercato) dei rapporti interpersonali, delle passioni umane, dei beni relazionali in merci.
I neocontadini o imprenditori agricoli civili concepiscono la competitività e lo scambio economico come mutuo vantaggio di tutti coloro che vi partecipano e contribuiscono a realizzare un'economia sostenibile.
La scienza economica contemporanea sta prestando finalmente attenzione al passaggio dal riduzionismo utilitarista dell'homo oeconomicus all'antropologia dell'animal civile. Ma è l'unico modo per ricostruire una scienza economica che voglia mirare al bene comune.

Vincenzo Lo Scalzo

02 luglio 2011 ore 10:40

Incoraggiare Petrini, più che osteggiare la sua lucida e intelligente franchezza. La campagna contro l'oligopolio dei "semi" è però tanto stantia quanto fuori moda. La trasformerei, se fossi Petrini, in campagna contro la "speculazione".
Quanto ai "semi" è stupendamente amico delle tesi "umane e civili" e non "speculative" la storia sui vari tentativi di raccolta in "banche dei semi". Nel mondo se ne contano più di 1400. Tra esse la più ambiziosa è ritenuta la Svalbard Global Seed Vault, nel permafrost delle Spitsbergen, a 700 km dal Polo Nord. Da pochi giorni è in edicola il numero July 2011 del National Geographic Magazine: Food Ark, da pag 108 a 131, di Charles Siebert. E' un'immersione nella storia della natura e dell'agricoltura, nella culla dei semi, naturali e della loro conservabilità ma corsa infrenabile verso la riduzione di specie e di conoscenza contadina. Esce in parallelo anche l'edizione in italiano del NGM. Un regalo per la cultura spesso improvvisata italiana come la è stato la collana Coltura e Cultura di BCS. Una trasmissione di sapere più che di potere, molto più utile del fascino delle "speculazioni" alla moda.
Intanto tanto silenzio sui contenuti di dibattito per i 20 milioni di visitatori attesi tra pochi anni. Anche su quell'evento, da ogni direzione, incombe la "speculazione".
Grazie a GRIMELLI e a TN per avere aperto lo spiraglio ad un dibattito costruttivo. L'immagine del "contadino" non è più negativa come è apparso a tanti "microfonati" dell'ultimo mezzo secolo. Si fa strada in Europa anche nella Moda con simpatia il "Made in Italy dei Contadini del tessile"...

E. Lo Scalzo
AgoraAmbrosiana

Piero Nasuelli

02 luglio 2011 ore 06:17

Caro Griminelli, Petrini è uno "alla moda", ha saputo "teorizzare" la visione bucolica di tanti consumatori che credono allo slogan "... quando i mulini erano bianchi". Quando ci viene fatto vedere il “mulino bianco” della nota pubblicità la nostra mente va ai “bei tempi antichi”, eppure in quei tempi i mulini non erano affatto bianchi. Il mugnaio lottava contro topi e scarafaggi non conosceva quelle che oggi sono le più elementari norme igieniche. La mortalità per cause alimentare, dovuta alle modeste tecnologie di quei tempi era senz’altro mille volte superiore a quella di oggi.
Il Petrini ha un seguito impressionante e contraddirlo può essere pericoloso ed impopolare, far finta di niente, considerandolo un “demagogo”, non è certamente una tattica efficace, a mio parere lo si deve affrontare sul piano di dati e contesti oggettivi, perché sono tantissimi, anzi quasi tutti, gli agricoltori di produzioni intensive che adottano tecniche che salvaguardano l’ambiente rurale. L’agricoltore sa perfettamente che deve mantenere efficiente il suo capitale più prezioso che è la terra.
Ricordo la filastrocca che negli anni ‘60 ci raccontava il nostro professore di agronomia:
Con la calciocianamide il villano se la ride
stimolando con prudenza
la divina provvidenza
Quello che apprezzerei da Petrini è una presa d’atto, da un lato ci può essere il suo redditizio movimento slow food, dall’altro lasci “sfamare” la gente a chi sa fare il mestiere dell’imprenditore agricolo.