Editoriali

POLITICA AGRICOLA UE E USA A CONFRONTO

27 settembre 2003 | Alberto Grimelli

Cibo, energia ed informazioni, questi sono i tre cardini su cui si regge il mondo contemporaneo. Ne consegue che i comparti che li producono e li commercializzano sono strategici per ogni nazione.
Tuttavia, mentre per energia ed informazioni le fonti sono molteplici, ad esempio petrolio, nucleare, solare per il comparto energetico e istituzioni, scuole e mass media per il settore informazioni, l’unica e sola fonte di cibo è l’agricoltura.
Lo Stato o l’impresa privata che assumesse il pieno controllo di uno di questi settori godrebbe di un posizione di potere e di influenza assolutamente dominante. Le esperienze negative, purtroppo numerose, di vertici internazionali, ultimo Cancùn, stanno a dimostrare quali divergenze d’opinione e di interesse esitano tra Paesi poveri e ricchi. In quest’ultima occasione, infatti, uno dei temi principali su cui si sono accese le dispute più roventi è: finanziamenti e contributi a sostegno delle agricolture dei Paesi ricchi, Ue e Usa in testa, che deprimerebbero i prezzi delle derrate alimentari a scapito della redditività dei contadini nei Paesi poveri.
In effetti a tutt’oggi il 50% circa del bilancio della Ue è destinato al settore agricolo e la Farm Bill (farm security and rural investment act) in vigore negli Usa prevede una spesa di 45 miliardi di dollari/anno a sostegno del mondo rurale. Questi stanziamenti indicano meglio di tante parole l’importanza strategica che Ue ed Usa attribuiscono all’agricoltura.
La politica di settore nei due continenti tuttavia è profondamente diversa.
Negli Usa, dopo una crisi che ha attanagliato anche la corn belt, la fascia del mais, una specie di eldorado per tutti i cerealicoltori, il governo federale ha deciso di convogliare la maggior parte dei sussidi a sostegno diretto del reddito. Ormai si stima che per le principali colture erbacee, le cosiddette commodities (grano, mais e soia), il 50% dell’introito per l’agricoltore americano provenga dai contributi statali.
Nella Ue, invece, anche a causa di forti pressioni dell’opinione pubblica, gli “aiuti alla produzione” vengono drasticamente ridotti, con la volontà, nel medio periodo, di eliminarli. La maggior parte delle sovvenzioni viene dirottata in sostegni agli investimenti e al potenziamento delle capacità produttive, oltre che in misure volte a valorizzare le produzioni di qualità e quelle a basso impatto ambientale. Una politica che incita l’agricoltore a spendere per migliorarsi e per ottenere prodotti alimentari ad alto valore aggiunto che dovrebbero generare un reddito più che sufficiente al mantenimento dell’imprenditore agricolo e della sua famiglia.
Questa politica implica tuttavia l’abbandono, da parte del vecchio continente, alla coltivazione delle commodities e al loro mercato, in quanto i prezzi europei, mediamente più alti del 20%, non possono competere con quelli degli americani.
Ci troviamo di fronte a scelte contrapposte: gli Usa che legano il settore agricolo allo Stato e ai suoi contributi, mentre la Ue vuole svincolare i propri agricoltori da aiuti pubblici e lasciarli in balia del libero mercato. Chi avrà ragione?