Articoli

NATALE FREGA: “IL SETTORE OLEARIO NON È IMMOBILE, RESTA TUTTAVIA MOLTO LAVORO DA FARE”

Il Preside della Facoltà di Agraria di Ancona, nonché noto ricercatore nel comparto olivicolo, ha ribadito il ruolo dell’indagine scientifica come volano della crescita economica e sociale. “È da molti anni che mi occupo di olio di oliva ma continuo a studiarlo in quanto c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare e da scoprire”

17 luglio 2004 | Alberto Grimelli

Ordinario di Industrie agrarie e Preside della Facoltà di Agraria. Tiene per affidamento i corsi di: Chimica enologica; Chimica degli alimenti; Tecnologie di produzione di integratori alimentari, alimenti funzionali e speciali; Metodiche analitiche ufficiali e frodi alimentari. Titolare inoltre dei corsi di Metodologie di valutazione organolettica degli alimenti e di Tecnologie speciali presso la Scuola di Specializzazione in Scienze della Alimentazione e di Principi di dietetica presso la Scuola di Specializzazione di Gastroenterologia della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università Politecnica delle Marche.
È direttore del Centro Interdipartimentale di Ricerca La Scienza dei Lipidi.
È coordinatore del corso di Laurea di primo livello in Scienze degli Alimenti e del corso di Laurea Specialistica in Scienze e dei Prodotti Alimentari e della Nutrizione e del Dottorato di Ricerca in Alimenti e Salute.
È Presidente della Società Internazionale dell'Olio di Oliva e Salute (S.I.O.O.S.).
È socio della Società Italiana per lo Studio delle Sostanze Grasse; della Società di Italiana di lgologia; dell’Associazione Ricercatori di Nutrizione e Alimenti (A.R.N.A.).
È Accademico dell’Accademia dei Georgofili di Firenze; dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino di Siena; dell’Accademia Nazionale dell’Olivo e dell’Olio di Spoleto; dell’Accademia Agraria di Pesaro.
È coautore dei libri Manuale degli Oli e dei Grassi, Ed. Tecniche Nuove, Milano (1997); Chimica degli Alimenti, Ed. Piccin Nuova Libraria, Padova (2004); Nuevos Alimentos para Nuevas Necesidades, Ed. Com. de Madrid Cosejeria de Sanidad (2004).
È autore di oltre 250 lavori sperimentali pubblicati su riviste nazionali internazionali nonché di numerose comunicazioni presentate a congressi nazionali ed internazionali.



- SIOOS ovvero Società Internazionale Olio d’Oliva e Salute. Ma serve davvero ancora ribadire il ruolo positivo dell’extravergine sulla salute?
Secondo me sì. Sebbene in generale gli effetti benefici siano conosciuti in ogni angolo del mondo, altrettanto non si può dire sotto il profilo nutrizionale. Studi e divulgazione delle caratteristiche dei componenti minori, ad esempio, sono in corso da non molti anni ed ancora molto resta da approfondire sul perché quest’olio dia qualcosa di più rispetto ad altri grassi vegetali. Ricordo che l’extravergine è singolare anche per quanto riguarda la tecnologia di estrazione. Non viene alterato da alcun procedimento chimico-fisico, non viene manipolato, quindi si può considerare assolutamente naturale.
Resta naturalmente molto lavoro da svolgere, siamo ben lungi dall’aver sviscerato completamente la materia. È da molti anni che mi occupo di olio di oliva ma continuo a studiarlo in quanto c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare e da scoprire, anche grazie all’affinamento delle tecniche analitiche. Da qui l’utilità del SIOOS.
- Qualità e tipicità. Quanto contano in percentuale cultivar, condizioni pedoclimatiche, pratiche agronomiche, tecnologie di estrazione, mezzi di conservazione?
Sono tutte variabili che incidono sia sui parametri di qualità che su quelli di tipicità. Non darei in questo caso una scala di valori.
Sbagliare in una qualsiasi delle fasi di produzione può dar luogo a problemi irrisolvibili e a danni irrecuperabili. Tutti gli elementi che mi ha citato devono essere visti come anelli di una catena, quindi intimamente connessi tra loro. A parità di cultivar e condizioni pedoclimatiche sono gli interventi umani a fare la differenza, la sapienza degli operatori della filiera. Commettere qualche sciocchezza o leggerezza significa pregiudicare il prodotto proprio nei suoi caratteri di qualità e tipicità.
Poi sicuramente, nel caso in cui tutte le fasi produttive e di conservazione-imbottigliamento siano avvenute correttamente e curate fin nei particolari, sono la cultivar e le condizioni pedoclimatiche a fare la differenza.
- Qualità misurata analiticamente, naso elettronico… Ma veramente gli esperti assaggiatori diverranno superflui?
Sicuramente no. L’assaggio, come valutazione soggettiva della gradevolezza del prodotto, rimarrà un’esigenza insopprimibile e pertanto gli esperti degustatori continueranno ad esistere.
È necessario comunque arrivare a definire parametri analitici di qualità maggiormente oggettivi, quindi analitici. Anche quando a giudicare è un panel, ovvero un gruppo di assaggiatori, il loro responso non potrà mai essere considerato assolutamente oggettivo, resterà comunque un margine di incertezza e di non ripetitibilità che inficia il metodo e lo rende pertanto non scientifico.
I panelisti possono certamente influenzare il mercato, premiando certe caratteristiche organolettiche piuttosto che altro ma non possono sostituirsi a indagini oggettive quali quelle di laboratorio.
- Innovazione tecnica e tecnologica. Alcuni settori, come il vitivinicolo, sono molto ricettivi, altri come l’olivicolo, appaiono meno sensibili. A cosa imputa la visione tradizionalista ed immobilista di certi comparti?
Non possiamo fare in realtà un parallelismo tra vino e olio, il primo deriva da processi di trasformazione chimica piuttosto complessi che mutano il prodotto originario l’uva in qualcosa di diverso. Per l’extravergine viceversa c’è solo l’estrazione di ciò che già naturalmente è presente nel frutto. Tecniche e tecnologie troppo diverse per fare analogie.
Tra l’altro non definirei neanche così immobile il settore oleario, negli ultimi venti-trent’anni sono stati fatti notevoli passi avanti dal punto di vista delle tecnologie di estrazione. Dagli impianti discontinui con presse e fiscoli si è passati al sistema centrifugo, con varie innovazioni anche per quanto riguarda questa tecnologia (dalle 3 fasi di qualche anno orsono fino alle 2 fasi attuali). Queste innovazioni hanno consentito considerevoli miglioramenti sia dal punto di vista dell’economicità del sistema sia, naturalmente, per quanto concerne gli aspetti igenico-sanitari.
Ultima novità in ordine di tempo la possibilità di ottenere olio di ottima qualità da olive snocciolate.
Non penso che simili mutamenti, nel giro di così poco tempo, si addicano a un comparto immobilista.
- Fondi pubblici = ricerca di base, fondi privati = ricerca applicata. È davvero così o le equazioni citate sono un’eccessiva semplificazione?
È un’eccessiva semplificazione in quanto con i soldi pubblici si posso condurre anche ottime ricerche applicate. Anche se personalmente ritengo artificioso distinguere appunto tra ricerca di base e applicata.
Molto più importante, secondo me, la libertà del ricercatore.
Con fondi pubblici questa è massima, permettendo la divulgazione completa ed esaustiva dei dati, questo non accade per gli studi condotti con soldi privati. L’azienda che investe in ricerca infatti si reputa proprietaria dei risultati che le sono funzionali al raggiungimento di determinati obiettivi. Lo sfruttamento economico delle innovazioni scientifiche infatti sta alla base della crescita di ogni comparto produttivo.
Tuttavia la limitata diffusione di alcuni dati o informazioni potrebbero limitare lo sviluppo della collettività, da qui l’esigenza di non abbandonare, da parte dello Stato e di tutte le istituzioni, la ricerca alle sole mani dei privati.
- Ampia autonomia per gli atenei, competizione per acquisire studenti e con essi più fondi. Questo modello di gestione aziendale delle Università ha suscitato perplessità. Da Preside della Facoltà di Agraria di Ancona quale la sua impressione sulla riforma?
Come per tutte le riforme i risultati andrebbero valutati nel medio-lungo periodo.
La competizione tra Università per avere il maggior numero di iscritti si è sempre avuta. Grandi atenei contro quelli più piccoli. A fronte di minori risorse le piccole Università e Facoltà potevano e possono garantire un rapporto più umano e familiare, meno spersonalizzato, fra docente e discente. Non vedo quindi nella competizione per l’acquisizione di studenti un fenomeno nuovo.
Auspico invece una maggiore competizione scientifica tra Facoltà. Questo deve essere il vero punto discriminante per sancire il valore delle varie Università. Infatti avere il maggior numero di studenti non implica necessariamente offrire il miglior servizio né agli iscritti né alla collettività.