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L'Italia? Da paese agricolo a paese di hobby farmer
Ecco i primi risultati dello studio Nomisma-Vita in Campagna sull’agricoltura amatoriale. L’Italia non è solamente terra di poeti, santi e navigatori ma anche di agricoltori. O, per lo meno, di presunti tali
23 gennaio 2010 | T N
Una ricerca svolta da Nomisma in collaborazione con il mensile âVita in Campagnaâ - che da oltre 25 anni segue chi per passione coltiva
piante o alleva animali nel tempo libero - sembra dimostrare come le aree rurali siano sempre più interessate dalla presenza di persone che decidono di spostarsi e di vivere in campagna, dedicandosi anche ad attività tipiche di questi spazi, agricoltura in primis.
Questo interesse per le attività agricole da parte di ânon addetti ai lavoriâ sta
assumendo oggi particolare rilevanza, in un momento in cui la crisi economica porta molte persone a riscoprire le bontà e la convenienza dei prodotti del proprio orto e frutteto. Ed è proprio in considerazione di tale tendenza che ci si accorge del fatto che nelle campagne si sta sempre più diffondendo una figura particolare, che potremmo definire hobby farmer (o agricoltore amatoriale), che si caratterizza per il possesso di un terreno agricolo coltivato nel tempo libero, in quanto la sua attività principale dal punto di vista lavorativo (e di tempo) è al di fuori del settore agricolo stesso.
Attenzione però a non confondere questa ânuova figuraâ con quella dellâagricoltore non professionale: questâultimo soggetto, infatti, si configura comunque come un agricoltore che, pur dedicando meno del 50% del suo tempo, viene periodicamente monitorato dallâIstat (in Italia, infatti, il 70% dei conduttori agricoli svolge lâattività agricola in maniera part-time).
Lâhobby farmer (o agricoltore amatoriale), invece, così come emerge dalle risposte di un campione di 4.000 intervistati, riguarda principalmente soggetti non riconducibili ad un impiego lavorativo ufficiale di carattere agricolo, ma impegnati a tempo pieno in altri settori economici (dipendenti pubblici,
medici, liberi professionisti, dirigenti di imprese private, operai, ecc.) o da pensionati.
A riprova di questa âestraneità â dal settore agricolo professionale, si pensi che oltre il 90% di chi è stato intervistato non è mai stato contattato dallâIstat in merito al censimento generale sullâagricoltura.
Ed è proprio dal confronto con i vari censimenti agricoli â e dai relativi risultati â che si è partiti per comprendere il contesto di riferimento di tale fenomeno.
Se infatti si confrontano le superfici agricole rilevate nel 1990 e nel 2000, si evidenzia un calo di quasi 2 milioni di ettari contestualmente ad una diminuzione di circa 430.000 aziende.
Alla luce di tali cambiamenti però, le dimensioni medie delle imprese agricole non sono cambiate (rimanendo attorno ai 5 ettari di Superficie agricola utilizzabile) segno evidente di un mancato processo di accorpamento fondiario. E allora, dove sono finiti questi ettari di superficie agricola?
Al di là dei possibili e concreti casi di abbandono, non è nemmeno pensabile che questi 1,8 milioni di ettari siano stati tutti destinati alla cementificazione o allo sviluppo di aree urbane e industriali. Tanto è vero che unâaltra rilevazione relativa al progetto europeo Corine Land Cover (CLC) che si occupa di fornire dati sullâuso e copertura del suolo derivanti dallâinterpretazione di immagini satellitare evidenzia per lo stesso arco di tempo (1990-2000) un calo di queste superfici agricole per appena 143.000 ettari.
In altre parole, questo significa che la superficie agricola non più rilevata dal
Censimento Istat non è scomparsa: ha solamente cambiato possessore, passando da un agricoltore ad un altro soggetto âestraneoâ al settore primario.
Attraverso unâindagine diretta presso gli abbonati di âVita in Campagnaâ - la rivista di agricoltura hobbistica più diffusa in Italia - Nomisma ha identificato i contorni del fenomeno, grazie alle informazioni fornite da 4.000 rispondenti.
La compagine degli hobby farmer è molto variegata: impiegati, liberi professionisti, lavoratori autonomi, dipendenti pubblici, operai, pensionati. Tutti sono accomunati dalla passione di coltivare e praticare lâattività agricola, al fine di ottenere prodotti per lâautoconsumo familiare o da regalare agli amici, ma anche per stare allâaria aperta, per risparmiare nellâacquisto di derrate alimentari o consumare prodotti più sani e genuini.
Le coltivazioni più praticate riguardano ortaggi, frutta, vite e olivo e, molto
spesso, sono accompagnate da processi di trasformazione (confetture e marmellate, conserve, vino, olio) â ovviamente su piccola scala - e in qualche caso anche da piccoli allevamenti. Le dimensioni medie dei terreni coltivati non sono marginali e si aggirano su circa 1,3 ettari (spesso comprendenti anche parti a bosco).
In buona sostanza, dalla ricerca emerge che in Italia esiste una parte di territorio agricolo, rurale e forestale che non è in capo ad agricoltori e che viene gestito secondo criteri non funzionali allâattività produttiva e mercantile (allâhobby farmer non interessa ottenere reddito dal terreno), ma secondo logiche rivolte soprattutto al mantenimento ambientale e paesaggistico e più in generale della tutela territoriale.
Si tratta di benefici (o, più tecnicamente âesternalità â) sottostimati o addirittura non riconosciuti dal punto di vista collettivo - alla luce della mancanza di rilevazioni statistiche ufficiali â che però permettono, assieme al contributo preponderante dellâattività propriamente agricola, una conservazione degli spazi rurali i cui vantaggi finiscono con il ricadere sullâintera popolazione.
I principali risultati della ricerca saranno presentati a Verona il 5 febbraio 2010, in occasione della prossima Fieragricola (sala Puccini ore 10:00).