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Anche il presidente di Fedagri, Paolo Bruni, scivola sull’olio

Nulla di strano, sono in tanti a commettere errori. Succede, non è grave. Tuttavia, c’è da chiarire cosa effettivamente si intenda per “straordinaria qualità del nostro olio di oliva”

04 luglio 2009 | T N

Il presidente di Fedagri-Confcooperative Paolo Bruni

Nel nome dell’olio di oliva non mancano gli scivoloni. Come quello occorso a Paolo Bruni, presidente di Fedagri-Confcooperative.

In occasione della festa dell’olio made in Italy che si è celebrata tra sacro e profano ad Assisi, Bruni commette alcuni errori nelle sue dichiarazioni.
“Il nostro paese – ha dichiarato Bruni – pur con la metà della produzione, vanta ben 350 varietà di oliveti contro i 16 presenti in Spagna".

E non solo, circa le denominazioni di origine Dop e Igp, altro cavallo di battaglia per quanti vogliano esaltare la nostra olivicoltura, Bruni dichiara che noi "abbiamo ben 40 olii italiani Dop e IGP, contro i 6 spagnoli”.

Matita rossa. Che significa infatti varietà di oliveti? Una cosa sono gli oliveti, altra cosa invece le differenti cultivar di olivo.

D’accordo sulle 350 varietà, qualcuna in più, qualcuna in meno non è un problema: c’è chi fa riferimento a 538 cultivar, come nel caso dell’Istituto Ivalsa-Cnr di Sesto Fiorentino; mentre il decreto ministeriale numero 573, del novembre 1993, ne contempla 395: poco importa, sono comunque diverse centinaia; ma ridurre solo a 16 quelle spagnole è un po’ ingeneroso; e se è vero che a dominare la scena siano solo poche cultivar, il germoplasma olivicolo è comunque più ampio.

Matita blu. Sulle Dop proprio non ci siamo: è vero che siamo italiani, e di conseguenza tifiamo per il nostro Paese, ma sostenere che le denominazioni di origine spagnole siano solo 6, relativamente all’olio di oliva, è un’affermazione palesemente falsa ed errata. Forse avrà pensato al Portogallo, che infatti ne ha sei, ma, appunto, si tratta in verità di un altro Paese, seppure confinante con la Spagna, ma è altra cosa.
La Spagna di Dop ne ha invece 20 già riconosciute, 9 all'esame Ue in attesa di certificazione e 5, infine, all'esame del loro ministero agricolo.
Quanto poi alle nostre denominazioni di origine, quelle riconosciute dall'Ue sono al momento 39 a marchio Dop e una a marchio Igp.

Insomma, presidente Bruni, lei è sicuramente un personaggio televisivo di tutto rispetto, e ci sa fare – e come ci sa fare! – non lo mettiamo in dubbio, ma studi però, o comunque cerchi di far studiare chi le organizza i contenuti delle sue dichiarazioni.

Quanto alla dichiarazione relativa alla nuova legge sul made in Italy, lei sostiene ch’è “una conquista importante”, giacché “difendendo ed esaltando la straordinaria qualità del nostro olio d’oliva, lo renderà ancora più forte ed apprezzato difendendone la qualità e la trasparenza verso i consumatori”.

Ora, in tutta sincerità: è proprio giusto parlare di “straordinaria qualità del nostro olio di oliva”?
Non c’è dubbio che costituiamo un solido punto di riferimento nel mondo, ma le significative quote di olio lampante da noi prodotte fanno anch’esse parte della “straordinaria qualità” di cui è così orgoglioso?

Non a caso, nel comunicato stampa diffuso da Fedagri-Confcooperative si legge che la sua organizzazione associa circa 200 oleifici cooperativi distribuiti sul territorio nazionale, per una produzione di 50.000 tonnellate d'olio (pari al 13% della produzione nazionale), il 50% dei quali è extra vergine. Già, d’accordo; ma la restante quota come andrebbe classificata sul piano merceologico? Come "straordinaria qualità” oppure come olio vergine di oliva, o, peggio, olio vergine di oliva lampante?