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GIUSEPPE GIUNCHI: “SARÀ SEMPRE DIFFICILE IL RAPPORTO TRA GRANDE DISTRIBUZIONE E PICCOLA E MEDIA IMPRESA AGROALIMENTARE”

A fronte di un crescente interesse della GD/GDO per i prodotti di qualità, sorgono tuttavia incomprensioni e problemi di comunicazione fra compratori e produttori. Si confrontano due culture alquanto diverse, due visioni del prodotto talvolta opposte. La derrata alimentare artigianale, rientrante nella sfera del tipico e tradizionale, deve indirizzarsi già preventivamente verso altri mercati

22 maggio 2004 | Alberto Grimelli

Giuseppe Giunchi ha 64 anni, di orgine ravennate, studi classici.
Ha iniziato a lavorare nella Grande Distribuzione nei primi anni 60, sempre nel settore dei prodotti alimentari, freschi e gracery. Inizialmente alle vendite, e poi in ruoli di crescente responsabilità agli acquisti; compratore prima e responsabile di settore poi, in insegne nazionali e internazionali, fino alla Direzione Generale. Da alcuni è anni consulente di aziende che operano esclusivamente nell'area dei prodotti artigianali e tradizionali di Alta Qualità.


Giuseppe Giunchi insieme col noto scrittore di gastronomia Livio Cerini di Castegnate

- La grande distribuzione (GD/GDO) è nata per distribuire prodotti di marca, ovvero alimenti a basso costo e larga diffusione. Negli ultimi anni stanno dedicando sempre più spazio alla qualità. Quanto sta tradendo la sua filosofia originaria?
La filosofia della Grande Distribuzione, fin dalle sue origini, è stata sempre accontentare la propria utenza. È quindi riduttivo conferire alla GD/GDO solo il compito di distribuire prodotti di marca. Il suo reale ruolo e scopo è offrire un’ampia gamma di prodotti e servizi in linea con l’evoluzione della società.
Attualmente il consumatore richiede la qualità, come elemento in diretta relazione con salute e benessere. La Grande Distribuzione, dedicando spazi a questo tipo di prodotti, asseconda, e non potrebbe essere altrimenti, le esigenze della sua clientela. L’inserimento del “biologico”, del tipico, nelle sue varie espressioni Doc, Docg, Dop, Igp, è stato dettato dalle richieste del consumatore. Gli stessi Marchi Propri rispondono a questa logica, sono stati introdotti come elemento di garanzia per l’utenza, ovvero “io Grande Distribuzione ti assicuro che ho scelto per te i prodotti migliori, quelli che tu vuoi”.
- Molte piccole e medie imprese agricole e agroalimentari hanno come obiettivo l’ingresso nella Grande Distribuzione. A fronte di alcuni indubbi vantaggi: elevati volumi di vendita, certezza dei pagamenti, diffusione del proprio nome e marchio, quali sono gli svantaggi?
Se un produttore vuole proporsi e affermarsi sul mercato della qualità, nel mercato di nicchia, non deve scegliere la GD/GDO. Un ingresso in Grande Distribuzione è un marchio a fuoco che sancisce, nei fatti, l’impossibilità di affermarsi in altri mercati, specializzati e di alta gamma. Non si può tornare indietro se non a prezzo di enormi sforzi e dopo anni.
Vi è una totale identificazione tra prodotto/produttore e GD/GDO. Il consumatore che sceglie e desidera l’alta qualità non prende in considerazione ciò che può trovare in Grande Distribuzione. Per questa ragione grandi ed affermati nomi, talvolta, si inquietano o si arrabbiano se trovano il proprio prodotto sugli scaffali del supermercato.
Non si può essere presenti in entrambi i mercati, Grande Distribuzione e Alta Qualità, sono mondi inconciliabili, sono culture inconciliabili. Questo a meno di creare linee completamente separate e chiaramente identificabili, l’una destinata a GD/GDO l’altra al mercato di nicchia.
- Il rapporto fra compratore della Grande Distribuzione e piccolo produttore è sempre complicato. Di solito quest’ultimo da per scontato che il buyer conosca approfonditamente la merceologia tratta. È sempre così?
Quando la Grande Distribuzione è nata, almeno in Italia, era così. I compratori provenivano dal mestiere e avevano grande dimestichezza con la materia, loro compito era cercare il buon prodotto che avesse standard qualitativi in linea con le esigenze dell’azienda e della sua clientela.
Attualmente, anche grazie all’incremento generalizzato della qualità delle derrate alimentari e all’innalzamento dei consumi, è diventato d’obbligo prendere in considerazione altri elementi, il buyer proviene quindi da altre scuole. Non ha praticato più il mestiere, ma si è nutrito di marketing ed economia. Gestione delle rotazioni del prodotto sullo scaffale, stock, conti economici sono diventati la sua vera professione, secondo la mentalità contemporanea la professionalità tecnica è meno utile di quella prettamente economica e di marketing.
La difficoltà di rapporto e di comunicazione tra piccolo produttore e buyer sta proprio in questo. Si confrontano due culture molto diverse, due visioni del prodotto assai differenti, alle volte opposte.
- Secondo la sua esperienza quale la scala di priorità per un compratore tra i seguenti elementi: qualità, prezzo, sconti, servizio, offerte promozionali o pubblicitarie?
È l’insieme di questi elementi a determinare la scelta.
Certamente il compratore deve prestare accortezza a che il prodotto sia in linea con gli standard qualitativi aziendali, diversi da catena a catena, da insegna a insegna, ma deve soprattutto valutare i dati economici. Tra due prodotti in diretta concorrenza, l’uno di qualità superiore all’altro, entrambi però entro gli standard dettati dalla propria azienda, egli acquisterà quello con cui spunterà le migliori condizioni economiche complessive, sconti, offerte... In sostanza, non viene remunerato né considerato un valore aggiunto un livello qualitativo superiore a quello standard aziendale.
Il valore conferito al prodotto da un buyer non è proporzionalmente rapportato alla qualità intrinseca dello stesso ma alle caratteristiche complessive dell’offerta, ovvero comprende, come componenti imprescindibili, che possono conferire, queste sì, un plus, anche il servizio (velocità consegna…) e le condizioni economiche (sconti incondizionati, sconti rapportati al fatturato, contributi promozionali e pubblicitari…).
- Alla luce di quanto emerso non pare esistano grandi spazi per la qualità, il prodotto di nicchia, in GD/GDO. Meglio quindi che il piccolo si rivolga ad altri mercati?
È necessario operare un distinguo. Chi è il piccolo, come opera?
Se è un imprenditore attento a utilizzare materie prime, tecniche, lavorazioni di alta qualità lungo tutta la linea di produzione, lungo tutta la filiera, è un artigiano. Il prodotto che otterrà sarà di alta qualità e non sarà remunerato come tale da GD/GDO, meglio che, in partenza, si rivolga ad altri mercati.
Se l’imprenditore opera dei compromessi, ovvero utilizza procedimenti artigianali su materie prime usate anche dall’industria o più semplicemente confeziona, veste il prodotto in modo artigianale, il suo mercato, il suo sbocco naturale è quello della Grande Distribuzione. Il prodotto semi-artigianale è appetibile dalla GD/GDO.
La scelta di vendere o meno in Grande Distribuzione implica quindi una serie di conseguenze sul piano produttivo ed organizzativo, poiché implica una diversa filosofia di prodotto: semi-artigianale quello destinato alla GD/GDO e artigianale, o meglio tradizionale, quello destinato ai mercati dell’Alta Qualità.