Articoli
ATTILIO SCIENZA: “NON FACCIAMO GLI STRUZZI. SUGLI OGM SERVE PIÙ RICERCA O IL RISVEGLIO SARÀ DOLOROSO”
Molti i temi affrontati col noto docente dell’Università di Milano. Dalle competenze dei consulenti e collaboratori delle aziende vitivinicole, ai vitigni autoctoni, alla concorrenza dei Paesi emergenti. “La zonazione aziendale è molto più utile di quella comprensoriale, ma sono pochissimi i professionisti in Italia che se ne possono occupare ottenendo risultati validi”
24 aprile 2004 | Alberto Grimelli
Attilio Scienza è agronomo e Professore straordinario di viticoltura presso l’Università degli Studi di Milano.
È considerato uno dei maggiori esperti a livello mondiale di viticoltura.
- Oltre alle specifiche conoscenze tecniche proprie dell’agronomo, quali altre competenze possono risultare fondamentali in una collaborazione con un’azienda vitivinicola?
In questo momento le aziende vitivinicole, almeno quelle di una certa dimensione, esige delle professionalità particolari e specifiche. Non si accontenta delle conoscenze generiche che possono avere gli agronomi. Ormai chi si occupa di viticoltura, anche in forma di consulenza, deve avere delle conoscenze molto specifiche e approfondite. Naturalmente è fondamentale l’interfaccia vite-vino, ovvero chi si occupa di viticoltura non può limitarsi alle attività di campo ma deve comunque padroneggiare con sufficiente dimestichezza anche la trasformazione dell’uva in vino. Viticoltura ed enologia non sono settori separati, ma complementari e come tali vanno trattati.
Chi esce dall’Università in questo momento non ha grandi possibilità. Deve approfondire le proprie conoscenze attraverso esperienze e aggiornamenti personali, oppure attraverso dei master di primo livello concentrando l’attenzione sulla viticoltura e sull’enologia.
Quello che manca, fra l’altro, carenza grave ma risolvibile, come dimostrato dai Paesi di lingua anglosassone è l’aspetto gestionale. Abbiamo gravissime lacune nella gestione di un’azienda viticola. Lacune in termini di gestione del budget e di controllo delle fonti di spesa. Tutti questi argomenti non vengono affrontati in maniera esauriente nel corso del percorso di studi degli agronomi. Utile e apprezzato quindi un approfondimento di queste tematiche ad esempio, ancora una volta, attraverso master alla Bocconi o presso altre Università.
- Molti territori hanno ormai avviato e, in alcuni casi, concluso progetti di zonazione viticola comprensoriale. A fronte di questa moltitudine di dati esiste una reale necessità di avviare programmi di zonazione aziendale? Per giungere a quali risultati a fronte di un’ulteriore spesa?
I programmi di zonazione aziendale non sono poi così onerosi. La zonazione aziendale più di quella comprensoriale è utile, perché quella territoriale può dare indicazioni, benché precise, su scale di qualche ettaro, quindi sfuggono una serie di caratteristiche specifiche del terreno, in particolare in quelle situazioni in cui esiste un’ampia variabilità dei suoli. Le maggiori ricadute sulla qualità si hanno a fronte delle zonazioni a livello aziendale, in cui la maglia dei controlli pedologici e di profilo è ristretta. L’impostazione del vigneto viene eseguita tenendo conto delle differenze, anche su superfici di cinque ettari si sceglieranno magari tre o più portinnesti diversi e così sistemazioni del terreno, idraulico agrarie, concimazioni differenziate, lavorazioni di diversa natura e così via. Implicazioni possono riguardare anche l’irrigazione, si possono infatti prevedere differenti portate delle ali gocciolanti per singolo appezzamento.
È sulle zonazioni aziendali che c’è il vero salto di qualità, non su quelle comprensoriali. Non è un progetto molto oneroso per l’impresa vitivinicola, solo che non esistono molti pedologi, forse si contano su una mano quelli in grado di portare avanti una zonazione aziendale con qualche risultato. A fronte di una forte domanda, come sta avvenendo ora, non c’è sufficiente personale qualificato. Esistono invece moltissimi dilettanti che si improvvisano pedologi ma che non sono in grado di produrre esiti tangibili ed apprezzabili.
- Una delle nuove tendenze è la rivalutazione del patrimonio viticolo autoctono. Esistono tuttavia pochi dati agronomici su questi vitigni. Le scelte colturali si basano quindi in buona parte su osservazioni e sull’empirismo. Quali consigli o suggerimenti può fornire a chi si vuole cimentare con questa nuova sfida?
C’è poco da consigliare ma solo rimboccarsi le maniche e cominciare. Prima a livello pubblico, un ruolo che devono quindi assumersi le regioni o le province, solo successivamente, a livello privato, realizzando dei campi di confronto di questo materiale.
Finchè resta nelle collezioni, in cinque o sei esemplari, riusciamo a caratterizzare, a fatica, solo curve di maturazione o accumulo degli zucchero o maturazione fenolica. Quando si devono andare a valutare invece dati agronomici come il rapporto fra vegetazione e produzione, carica di gemme e produzione per ceppo o ancora le implicazioni sulla fermentazione è necessario disporre di quantità molto più significative rispetto alle attuali. Molto spesso è anche sopravalutato il ruolo del portinnesto, prima di tutto è necessario portare le piante in equilibrio e il portinnesto non è il solo elemento, solo successivamente possiamo valutare la risposta sui parametri enologici. Inoltre è utile ricordare che molte di queste varietà sono anche virosate, quindi bisognerebbe prima procedere al loro risanamento.
Il lavoro da compiere è importante e va affrontato seriamente, mentre in alcuni casi è stato svolto in maniera approssimativa e eccessivamente frettolosa.
- Molti altri Paesi extraeuropei producono ottimi vini. La concorrenza diventa sempre più spietata. Fino a quando potremo spuntare prezzi più elevati solo attraverso la suggestione, ovvero la rievocazione emotiva di un territorio e delle sue tradizioni?
Direi che questa è l’unica arma che abbiamo. Se volessimo battagliare con i vitigni internazionali saremmo già perdenti in partenza, australiani o cileni possono fare buoni vini a prezzi decisamente inferiori rispetto ai nostri.
Possiamo invece produrre vini particolari con vitigni che loro non hanno, sfruttando un’interazione del tutto particolare col territorio in cui sono coltivate e cercare di caricare quel vino di una serie di valori, che non siano solo quelli chimici o sensoriali, ma anche quelli dell’ambiente, della storia, della cultura. Tutto quello che le altre Nazioni, al momento, non possono offrire.
- Ricerca e innovazione. Le biotecnologie stanno facendo davvero molti passi avanti. C’è tuttavia nel mondo vitivinicolo un rifiuto verso queste tecniche. Quale la sua posizione nei confronti degli Ogm, in particolare in viticoltura?
La storia è piena di opposizioni basate su preconcetti e pregiudizi. Ricordo, solo a titolo di esempio, che ai tempi della fillossera i viticoltori rifiutarono il portinnesto, erano in molti che volevano continuare a coltivare la vite franca di piede anche quando il patogeno stava infliggendo gravissimi danni. Non mi faccio quindi condizionare dall’atteggiamento negativo nei confronti degli Ogm. Io sono favorevole all’utilizzo degli Ogm dopo aver valutato e verificato le ripercussioni sull’ambiente e le implicazioni nutrizionali e salutistiche.
Non siamo soli al mondo. Tutti gli altri Paesi stanno lavorando intensamente sulle biotecnologie per produrre Ogm, è una strada imboccata da tempo e che non si può più cambiare.
Non credo che si possa nemmeno fermare l’introduzione, nel prossimo futuro, di vitigni che portano geni di resistenza ai patogeni da altre specie. Già la Germania preme per l’utilizzo di organismi geneticamente modificati per vini a denominazione d’origine. Un’ulteriore spinta molto forte la darà l’ingresso di Paesi dell’est Europa in cui le condizioni climatiche sono molto più difficili rispetto alle nostre.
L’Italia è molto arretrata sul fronte delle biotecnologie, non è stata sviluppata alcuna ricerca. Abbiamo fatto gli struzzi. Quando ci risveglieremo dal torpore non sarà piacevole ma doloroso. Le istituzioni e gli organismi ufficiali hanno nascosto la testa, appunto come gli struzzi, hanno mancato di lungimiranza, preferendo ignorare il tema, piuttosto che avviare qualche valido programma di ricerca.