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COLTIVAZIONE E VARIETÀ DI OLIVO IN CAMPANIA

La millenaria olivicoltura di una regione pur molto vocata del Sud, rimane ad oggi una realtà ancora piena di intoppi e notevoli resistenze. E ciò nonostante i grandi progressi degli ultimi anni, e un punto di forza che si fonda sul ricco e diversificato patrimonio varietale

20 marzo 2004 | Rosaria Romano

La Campania, patria della dieta mediterranea, unitamente ai vini, ai formaggi, ai limoni, ecc., ha nell’olio di oliva un ulteriore elemento di forza che si integra perfettamente nella prestigiosa tradizione alimentare e gastronomica, che ha reso la regione nota in tutto il mondo.
L’olivo in Campania rappresenta un elemento caratterizzante sia del paesaggio che dell’economia di vaste aree della regione, alcune di eccezionale bellezza.
Molti olivicoltori campani mostrano, con giustificato orgoglio, piante maestose di centinaia di anni di età. Questi olivi secolari, spesso chiamati con nomi collegati alle tradizioni locali, rappresentano un patrimonio anche culturale e storico.
La filiera olivicola rappresenta, nell’ambito dell’economia regionale, uno dei segmenti più importanti, non solo per il numero di operatori occupati e per l’indotto economico che movimenta, ma anche per l’entità delle superfici interessate, per i suoi rapporti, strettissimi, con il paesaggio e la difesa del suolo, e per l’inscindibile legame che ha con la storia, la tradizione e la cultura regionale.

Una storia antichissima
In Campania l’introduzione della coltivazione dell’olivo è datata millenni. L’opera di diffusione più cospicua di questa pianta è attribuita ai fenici e ai greci, che la portarono in tutti i territori colonizzati, e non solo per la produzione di olio a scopo alimentare, ma anche per ricavarne unguenti e profumi ad uso “estetico”, o per essere bruciato in omaggio alle divinità; tradizione, quest’ultima, ancora praticata a Napoli con il dono annuale di olio extra vergine di oliva alla lampada perpetua di San Gennaro, patrono della città.
Il livello di attenzione in Campania per l’olivo e l’olio fin dall’epoca romana è documentato dai mirabili affreschi rinvenuti nelle ville di Pompei, in cui le scene riguardanti l’olivicoltura sono numerose, come sono numerosi gli esemplari di frantoi romani a vite rinvenuti in varie zone della regione, e i numerosissimi doli, grandi anfore in terracotta, che interrati in cantine, venivano utilizzati per la conservazione degli oli e dei vini. Ancora più remota è la presenza dell’olivo in Penisola Sorrentina, dove il Capo Minerva, l’attuale Punta Campanella, era consacrato al culto della dea della Sapienza, ritenuta dagli antichi inventrice delle olive e dell’olio, come ci viene riferito da Virgilio.
Nel Cilento, in provincia di Salerno, recenti ricerche archeo-botaniche hanno documentato la presenza dell’olivo gia nel VI secolo a.C.; la tradizione vuole che le prime piante fossero introdotte dai Focesi. L’olivo era certamente presente tra i templi di Paestum e le rovine di Velia.

Pianta secolare di Rotondella (foto del Prof. G. Pugliano)

Una realtà in crescita, ma ancora difficile
In Campania la superficie complessiva coltivata ad olivo interessa circa 70.000 ettari e si colloca al sesto posto tra le regioni italiane per superficie olivetata, pari al 5,9% della superficie olivetata nazionale. A tale area corrisponde un patrimonio olivicolo di oltre 8.5 milioni di piante.
Gran parte dell’olivicoltura è collocata in provincia di Salerno, che da sola, con i suoi 39.000 ettari, rappresenta il 56% del totale, seguita dalla provincia di Benevento con il 21%. La coltivazione dell’olivo in Campania interessa oltre 90.000 aziende e l’80% dei comuni della regione, con una produzione media annua che oscilla intorno ai 2.000.000 di quintali di olive. Anche in termini di produzione la provincia di Salerno, con il 62%, conferma la sua leadership.
Fruiscono del riconoscimento comunitario della Dop (Denominazione di origine protetta) tre oli extra vergini di oliva (Colline Salernitane, Cilento e Penisola Sorrentina) (Reg. CE 1065/97, G.U.C.E. del 13/06/97 n. 156) e per altri (Sannio Caudino-Telesino, Irpinia e Colline Beneventane) (ai sensi del Reg. CEE 2081/92) sono in corso procedure di riconoscimento. A garanzia del consumatore tutti gli oli Dop della Campania sono sottoposti al controllo dell’Ismecert (Istituto Mediterraneo di Certificazione dei prodotti e dei processi del settore agroalimentare), organismo indipendente dal mondo della produzione ed autorizzato dal Ministero per le Politiche Agricole e Forestali.
Tuttavia ancora limitata è la produzione di oli Dop rispetto alle enormi potenzialità regionali, soprattutto a causa di errate pratiche agronomiche che comportano ancora un’eccessiva produzione di olio lampante. In realtà si ha la coscienza di possedere un prodotto dalle grandi potenzialità, che desta crescente interesse da parte di mercati sempre più ampi, ma che, al momento, non garantisce ai produttori un reddito soddisfacente. Infatti, in Campania, le aziende che praticano la coltura dell’olivo sono in gran parte al di sotto dei 5 ettari, una dimensione che non consente l’adozione dei moderni sistemi di coltivazione intensivi e, di conseguenza, l’abbattimento dei costi di produzione.
Alla frammentazione aziendale si aggiunge la modesta specializzazione, data l’elevata presenza di impianti promiscui, la scarsa possibilità dell’impiego delle macchine, a causa delle caratteristiche orografiche dei luoghi di coltivazione (forte diffusione nei terreni collinari e montani), la carenza di risorse idriche in alcuni ambienti, la cui disponibilità rappresenta un importante fattore per il raggiungimento di livelli qualitativi ottimali.
Per la vendita dell’olio d’oliva vergine ed extra vergine, in Campania, come del resto in Italia, è prevalente la vendita diretta presso i frantoi ai consumatori finali. Questa forma di distribuzione diretta rappresenta un’importante area d’affari per moltissime imprese di piccole dimensioni diffuse capillarmente sul territorio.

Le principali varietà
Il vero punto di forza dell’olivicoltura campana è il patrimonio varietale estremamente ricco e diversificato. Ad oggi sono state descritte e catalogate oltre 60 varietà autoctone attualmente coltivate e tramandate da secoli, tra cui quelle maggiormente diffuse sono: Ogliarola e Ravece nell’avellinese; Ortice, Ortolana, Racioppella nel beneventano; Sessana e Caiazzana nel casertano; Olivo da Olio nella Penisola Sorrentina (nel napoletano) ed, infine, Pisciottana e Rotondella nel salernitano.

Ogliarola
E’ la varietà più diffusa in provincia di Avellino, conosciuta in altre zone della Campania come Ogliara o Sozza. Il nome deriva probabilmente dalle sua spiccata attitudine a produrre olio. La vigoria è medio-bassa, il portamento assurgente con rami fruttiferi penduli, la produzione è costante ed elevata. Buona anche la qualità dell’olio, con una resa pari al 20%. E’ ritenuta autoincompatibile e non alterna; inoltre, è sensibile agli attacchi di mosca, resiste alla rogna e all’occhio di pavone e sopporta abbastanza bene le basse temperature.

Ravece
La presenza di questa varietà è documentata fin dagli inizi del ’500.
E’ nota anche come Curatone e Olivona. Nonostante abbia una resa piuttosto bassa, dal 15 al 16%, è molto apprezzata per la produttività, che è costante, ma soprattutto per la qualità dell’olio; la varietà fornisce, infatti, oli dal fruttato intenso, con un’armonica presenza della carica amara e piccante. Caratteristica peculiare è l’aroma erbaceo con note di pomodoro verde, a volte anche di carciofo, percepite soprattutto negli oli ottenuti da olive raccolte precocemente .
La pianta è di media vigoria ed ha portamento assurgente; è ritenuta autoincompatibile ed è sensibile agli attacchi di mosca e alle basse temperature; al contrario è poco sensibile alla rogna e resiste all’occhio di pavone.

Frutti di Ravece (foto del Prof. G. Pugliano)

Ortice
E’ presente in tutta la Campania con nomi diversi (Olivona, Iessana, Testicoli o Coglioni di Gallo, Olivo a Pizzo di Passero, ecc.), ma il suo areale di elezione è la media ed alta collina del beneventano.
La pianta è di media vigoria, con chioma alta e portamento assurgente; è autoincompatibile. Le drupe, pur dando un olio eccellente, sono apprezzate anche come prodotto da mensa, sia in salamoia che disidratate al sole.
Questa varietà si caratterizza per una produzione abbondante, ma alternante negli anni. La resa in olio è discreta, intorno al 16 %. Esso presenta un fruttato di oliva generalmente verde di intensità medio – alta, con sentori erbacei e di pomodoro.
Le piante di Ortice sono molto sensibili agli attacchi di mosca, all’occhio di pavone e soprattutto alla rogna.

Ortolana
Nota anche con il nome di Melella, per il caratteristico sentore di mela che induce nell’olio.
Risulta particolarmente diffusa nella zona collinare della Valle Telesina ed è apprezzata, oltre che per la buona resistenza alle avversità atmosferiche, anche per l’eccellente qualità dell’olio che si ottiene; quest’ultimo è caratterizzato da un fruttato di oliva verde di intensità media con chiari sentori di mela verde.
La vigoria della pianta è medio-alta, la chioma è espansa e il portamento è assurgente, ma con alcuni rami fruttiferi penduli. La polpa delle drupe è bianca e si distacca abbastanza facilmente dal nòcciolo; per questo motivo viene apprezzata anche come oliva da mensa. La resa media in olio è pari al 13%.
E’ sensibile agli attacchi della mosca, all’occhio di pavone, alle basse temperature, mentre è resistente alla rogna.

Frutti di Ortolana (foto del Prof. G. Pugliano)

Racioppella
Diffusa nel beneventano e soprattutto nel Comune di Guardia Sanframondi, ove è la varietà maggiormente coltivata.
E’ una varietà apprezzata soprattutto per la costante produttività, per la qualità dell’olio e non tanto per la resa, che è intorno al 10-12%.
E’ chiamata con nomi differenti, tra cui “Ansertarella”, per i grappoli di drupe distribuiti sui rami in serie, “Rappocella”, perché le olive sono sempre raggruppate a grappolo, “Spruarella”, perché durante la raccolta delle olive il movimento delle mani ricorda quello che si effettua durante la mungitura.
E’ ritenuta autoincompatibile, ma la sua costante e abbondante produzione inducono a considerarla autocompatibile. Negli anni in cui, per condizioni ambientali poco favorevoli, le piante portano meno frutti, questi maturano precocemente e cadono. Tale fenomeno in loco è indicato con il termine ‘fava cotta’.
E’ resistente alla mosca, alla rogna, all’occhio di pavone, alle basse temperature e alla siccità.

Sessana
Diffusa nel Casertano, soprattutto nel comune di Sessa Aurunca (da cui prende il nome), ove da sola costituisce la maggior parte degli oliveti locali. Conosciuta in loco anche con il nome di Cecinella, è apprezzata per l’elevata resa, che raggiunge anche il 25%, e per l’elevata qualità dell’olio.

Caiazzana
E’ una varietà precocissima, perfetta, quindi, per la produzione di un olio novello, di tendenza dolce, con una nota di mandorla e gusto delicato.
E’ diffusa soprattutto nel comune di Caiazzo (in provincia di Caserta), da cui prende il nome, dove è considerata a duplice attitudine e risulta particolarmente adatta alla produzione di olive nere appassite.
E’ conosciuta anche con i nomi di “Carica”, per l’abbondante produzione, e “Olivo a Sauce” per la presenza di numerosi rami penduli.
E’ ritenuta autoincompatibile ed è mediamente sensibile alla mosca; è resistente alla rogna e all’occhio di pavone.

Olivo da olio
Si tratta senza dubbio della varietà più diffusa nella Penisola Sorrentina, dove rappresenta l’80% circa dell’intero patrimonio olivicolo. Localmente è conosciuta anche come Minucciolo, Cecinella, Olivo a uoglio (quest’ultima denominazione è in dialetto napoletano, che tradotto in italiano vuol dire “Olivo da olio”).
Preferita dagli olivicoltori per la sua produttività, qualità e resa in olio (20-22%), è apprezzata anche per l’elevata resistenza alla siccità e ai freddi invernali.
La pianta ha vigoria medio-elevata, ha portamento assurgente, ma presenta anche rami produttivi penduli. E’ sensibile agli attacchi di mosca, meno a quelli di rogna, mentre è resistente all’occhio di pavone.

Rotondella
E’ la varietà più diffusa nel salernitano, dove è conosciuta con molti sinonimi.
A giudicare dalla mole e dall’età di alcuni esemplari, potrebbe essere, insieme alla Pisciottana, la varietà introdotta dai Focesi all’epoca della fondazione di Velia, nel VI secolo a.C.
E’ molto apprezzata per produttività, resa (intorno al 23%) e qualità dell’olio.
La pianta è di media vigoria e portamento assurgente; è ritenuta autoincompatibile ed è sensibile agli attacchi di mosca, alla rogna solo se in vicinanza di altre piante infette, mentre è resistente all’occhio di pavone.

Pisciottana
E’ la varietà più diffusa nella provincia di Salerno dopo la Rotondella. La si trova soprattutto nel basso Cilento, da Agropoli a Sapri, dove rappresenta la varietà dominante. Il nome deriva da Pisciotta, che è il comune in cui essa è l’unica varietà esistente.
La pianta è di vigoria molto elevata ed ha portamento tipico assurgente; è sensibile agli attacchi di mosca e all’occhio di pavone, mentre è resistente alla rogna e alla siccità.
La Pisciottana è apprezzata soprattutto per la produttività e la resa dell’olio (circa il 20%). Vi sono piante che di norma producono oltre 7 quintali di olive e altre che, in particolari annate, superano i 15 quintali.
Però l’importanza della varietà va ben oltre l’aspetto produttivo. Infatti, la coltivazione dell’olivo in Cilento svolge anche un’insostituibile azione di difesa del territorio e di contenimento delle frane, assicurando la continua presenza dell’uomo a salvaguardia delle aree a rischio, ed una marcata caratterizzazione dell’ambiente e del paesaggio, che si identificano con le secolari e maestose piante di Pisciottana.