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L’AGRONOMO IN VIGNA, PER ESALTARE PIU’ CHE PER GUIDARE. “E’ IL TERROIR A FARE LA DIFFERENZA” AFFERMA ALESSANDRO PETRI

Da sedici anni è l’agronomo del Sassicaia nella Tenuta San Guido di Bolgheri. Un dialogo aperto e franco per scoprire tecniche, trucchi e segreti. “Diffido dei vigneti tecnologici – ci ha detto – Un vigneto deve avere un’anima ed essere in equilibrio con l’ambiente.”

27 maggio 2006 | Alberto Grimelli

Alessandro Petri, agronomo, ha 44 anni.
Laureato in Scienze agrarie presso l’Università di Firenze, ha lavorato in Chianti, ha seguito corsi di aggiornamento professionale a Bordeaux.
E’ responsabile agronomico della Tenuta San Guido di Bolgheri da 16 anni.

- Qual è il segreto per l’ottimale conduzione agronomica di una vigna?
E’ necessario vivere la vigna giorno per giorno, almeno per me che mi considero un agronomo del terroir. Non è solo questione di parametri climatici, pedologici ma soprattutto di seguire il vigneto lungo il suo ciclo vegeto-produttivo. Una stagione è sempre diversa dall’altra, cambiano le condizioni e le necessità, così bisogna adattarvisi con tempestività ed oculatezza.

- Al di là delle definizioni formali e scientifiche, cos’è per lei il terroir?
Il territorio, l’ambiente, le infinite interazioni tra gli esseri viventi che lo abitano, clima e microclima. A terroir, termine francese, preferisco il latino genius loci, un equilibrio di forze ed energie caratteristico di un luogo definito e pertanto irripetibile.
- Una definizione molto poco tecnica, anzi direi quasi filosofica
Effettivamente i miei studi classici hanno inevitabilmente condizionato anche la mia formazione tecnico-scientifica, ma non lo considero un fattore negativo né limitante.

- Qual è il suo rapporto con la tecnologia. Quanto valgono per lei gli strumenti analitici e quanto gli occhi?
Diffido dei vigneti tecnologici. Un vigneto deve avere un’anima. Non sono ovviamente contrario in linea di principio alla tecnologia, lo sono al suo abuso. Esistono molti strumenti che sono effettivamente utili al lavoro quotidiano, solo che devono essere usati con molta attenzione. Ci si fida, alle volte, troppo dei numeri e poco della logica, all’intelligenza e all’esperienza. Disporre di una dato diagnostico è certamente utile ma tutti i tecnici sanno che il risultato è condizionato pesantemente dai metodi di campionamento. Nel monitoraggio alla tignola, tanto per fare un esempio, si usano dei sensori, una termocoppia (temperatura/umidità), che dovrebbe quindi indicarci il momento in cui si instaurano le condizioni ideali per lo sviluppo dell’insetto. Di solito questi sensori vengono posizionati in luoghi facilmente accessibili, all’aria aperta, dimenticando che la tignola nidifica all’interno del grappolo dove le condizioni ambientali sono completamente diverse. Con le trappole a feromoni si ha la cattura della popolazione maschile: è un po’ come andare nel pollaio, contare i galli e predire quante uova ci faranno domani le galline.
- L’agronomo in vigna deve usare tanto gli occhi quanto gli strumenti d’analisi
L’agronomo nel vigneto deve avere l’occhio solistico (globale), guardando all’insieme, non veristico (parziale). Soprattutto deve sempre ricordare che il dato ottenuto da un campionamento non è la realtà, ma solo una proiezione virtuale della realtà.

- Un agronomo deve assecondare o guidare un vigneto?
Esiste una sottile linea tra l’assecondare e il guidare. Io tendo ad assecondare, ovvero a lasciare che il terroir possa esprimersi in tutta la sua pienezza. Certo occorre avere sensibilità e attenzione, non è sempre semplice capire fino a che punto esiste un equilibrio e quando invece risulta necessario intervenire. Tenere bene a mente l’obiettivo finale, portare uve sane in cantina, può certo aiutare.
- Parla spesso di far esprimere il terroir, dei rapporti tra ambiente e vigna. Ma il vigneto non è, di per sé, un ecosistema “artificiale”?
E’ una agroecosistema, dove la mano dell’uomo è intervenuta per cambiare gli equilibri naturali. Spesso si tende, in nome della tecnologia, della meccanizzazione, del risparmio, a stravolgerli e quindi anche a mutare il genius loci. La quercia secolare che vive nel mezzo di uno dei vigneti del Sassicaia, le pendenze disuniformi che spesso contraddistinguono le nostre vigne vengono considerate come fattori limitanti. Io, al contrario, li considero un arricchimento. Le uve prodotte all’ombra della grande quercia avranno profili aromatici assai diversi da quelle esposte al solleone, così le viti che hanno sofferto un po’ di ristagno idrico daranno frutti diversamente caratterizzati da quelle che vivono in cima al poggio, sul suolo sassoso. Genius loci significa anche questo: complessità e varietà ma soprattutto una quintessenza che non si può esprimere a parole.