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E SE PRENDESSI UN ANNO SABBATICO? E' LA MODA ANGLOSASSONE DEL "GAP YEAR"

Si sta diffondendo sempre di più in Italia l’abitudine a concedersi una lunga sosta per riflettere, riposare, studiare, servire il prossimo o, più semplicemente, per divertirsi e godere un’avventura fuori dalle regole

13 maggio 2006 | Ada Fichera

L’anno sabbatico. Antica pratica ebraica che torna d’attualità nel mondo del lavoro, con i cambiamenti dovuti al tempo.
La moda anglosassone del “gap year”, tradotto “un buco lungo un anno”, oggi pare investire anche le abitudini degli italiani.
Sono sempre più numerosi coloro che scelgono di lasciare temporaneamente il posto di lavoro per studiare, per riposare, per fare volontariato, o semplicemente per godersi un’avventura fuori dalle regole.

Il settimanale “Panorama”, lo scorso 4 maggio, ha trattato l’argomento, mettendo in rilievo: «il manager che sogna un giro del mondo, il conduttore tv che va a studiare in Russia, l’attore o l’ex direttore di banca che fuggono in moto...».
Complice la «flessibilità», torna in auge il prendere una pausa dal lavoro.
Oltre i confini, ma anche e soprattutto “oltre la scrivania”.
In Italia, la legge per ottenere un anno sabbatico è la 53/2000, che consente una sola volta nella vita l’aspettativa di un anno, per motivi di studio, a chi ne abbia maturati almeno cinque nella stessa azienda. Rimane tuttavia garantito il posto di lavoro, ma spesso senza stipendio e senza il computo dell’anzianità.

Più facile cogliere invece le chance offerte dall’attuale flessibilità: utilizzare il passaggio tra un lavoro e l’altro, per fare e capitalizzare nuove esperienze.
Gli “studiosi in fuga”, per esempio, sono tra i più abili.
“Gettonatissima” la scelta di andare a studiare presso le università estere, spesso private, le quali non lesinano corsi che vanno dalla fotografia digitale al master di specializzazione, dagli aggiornamenti per la comunicazione al design.

Viaggiare e studiare, ma anche riflettere e dare spazio anche a quella voglia di spiritualità, come fanno di frequente gli “asceti dell’anno sabbatico”.
Tra le mete più ambite: l’India e l’America Latina. Un po’ come Claudia Koll, che si allontanò per riscoprire la fede: «Un periodo difficile mi ha spinto a cercare aiuto in Dio» racconta spesso l’attrice.
Poco importa comunque la motivazione della pausa, essenziale rimane l’andare via da tutto, soprattutto dal lavoro.

Ciò che comunque mette in luce tale usanza è il fatto che, per riposare, nelle nostre società, è diventato quasi necessario ricorrere a qualcosa di radicale.
Un modo per combattere la ripetitività, per “staccare la spina”, per allenare corpo e mente, per rianimarsi.
In giro per il mondo in cerca di nuovi stimoli; osservare realtà diverse con obiettivi più o meno precisi.

Lo stress del resto nuoce alla mente e anche al corpo e, se non si riesce a prendere ogni tanto una pausa, un periodo sabbatico può essere un’ottima soluzione e una buona fuga dall’ordinaria quotidianità.
Per filantropi ed ecologisti l’offerta è vasta. Si può scegliere missioni africane, parchi marini, storie esemplari, luoghi per fare volontariato e per “regalare” solidarietà nel mondo.
Pausa, relax, sport, avventura, volontariato, studio… Davvero ideale, anzi ottimale.

Da attivi e amanti del nostro lavoro, forse troppo, avanziamo però solo una semplice domanda, la quale interpreta perfettamente una nostra perplessità: pausa sì, ma un anno non è forse un po’ troppo…?

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