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ITALIA DEL SUD O TERZO MONDO?

Può sembrare una provocazione e invece è una drammatica realtà. L’occupazione non cresce e l’agricoltura è al tracollo. Una recente ricerca mette in luce una situazione inverosimile e terribilmente grottesca

15 novembre 2003 | Luigi Caricato

L’incredibile diventa possibile. Chi l’avrebbe mai detto che il nostro Mezzogiorno potesse crollare giù, verso il fondo più buio, e in maniera indecorosa, insieme con i Paesi meno sviluppati? Eppure da una recente ricerca sulla competitività economica perfino la Namibia ci supera. L’Italia del Sud si piazza infatti al cinquantaquattresimo posto. Il livello di reddito, certo, non è paragonabile a quello dei paesi terzomondiali, ma è la capacità di creare sviluppo e dinamismo d’impresa, in particolare, a essere piuttosto bassa. E’ un riscontro assai triste, questo, che ci deve far riflettere. L’analisi del quadro economico e sociale è stata condotta da un gruppo di studiosi del Dipartimento studi territoriali di Palermo, il Diste, in collaborazione con la Fondazione Curella. L’aspetto più raccapricciante e prevedibile, tra le cause del declino del Sud, riguarda l’inefficienza delle amministrazioni pubbliche e soprattutto la mancanza di trasparenza e la scarsa tutela dei diritti del cittadino. Aspetti non da poco, anche se purtroppo le anomalie nel frattempo persistono, senza che nessuno si interroghi sulle responsabilità. Tutto infatti prosegue come un tempo. Con qualche variante, certo. Ma come sempre nell’indifferenza generale.

I perché esistono. Il Sud è la palla al piede dell’Italia. Lo dico senza alcuna ritrosìa, anche in ragione del fatto che i miei natali mi riportano al Sud. Terra che conosco fin troppo bene, con tutti i soprusi, le arroganze, le viltà. Per questo mi sento in qualche modo un esule, avendo scelto Milano come luogo abituale delle mie occupazioni. Forse dichiararmi “esule” è un eccesso linguistico? Io credo invece che siano proprio le evidenze della realtà di ogni giorno a fortificare piuttosto la mia percezione. Sono sentimenti di sofferta amarezza e disagio, drammi incancellabili. Esagero, utilizzo toni forti e allarmistici? Leggendo i resoconti dei giornali non mi pare che si possano riservare grandi spazi all’ottimismo. Ho tra le mani ritagli degli ultimi mesi. Le cronache minime sono mortificanti; e senza necessariamente riferirci ai grandi episodi di cronaca nera e corruzione – o alle invasioni, all’interno della società, dell’incultura mafiosa – anche i riscontri del vivere quotidiano della gente comune tende a lasciare segnali poco confortanti. I perché esistono, vanno cercati nei meandri del tessuto sociale. Si cambia solo se esiste una precisa volontà in tal senso, ma questa volontà manca; anzi, neanche viene avvertita come una necessità prioritaria e impellente. Queste, almeno, le mie considerazioni. Spero vi siano punti di vista contrari al mio, più rasserenanti.