Articoli
NARDONE: “RICONOSCIAMO LA FUNZIONE STRATEGICA DELL’AGRICOLTURA PER LA SUA RILEVANZA ECONOMICA, AMBIENTALE, SOCIALE E CULTURALE”
Con il Partito della Rifondazione Comunista torna il nostro speciale elezioni politiche 2006. “Le produzioni tipiche e di qualità inoltre non ricevono dalla PAC il necessario sostegno” afferma il responsabile agricolo del Prc
04 febbraio 2006 | Alberto Grimelli
Ivan Nardone nato a Cassino cresciuto politicamente nei movimenti pacifisti, studenteschi e ambientalisti, è stato punto di riferimento di una generazione di lotte che a partire dagli anni novanta ha attraversato anche la provincia di Frosinone.
Dal 98 Ivan Nardone si è trasferito a Roma dove ha lavorato come stretto collaboratore dellâAssessore Regionale allâagricoltura Maurizio Federico ed ha fatto parte della Segreteria Regionale del Partito. Con la scelta strategica del Partito nella centralità dei movimenti Ivan Nardone si è sentito a suo agio nellâattraversare mezzo mondo nella costruzione di percorsi di movimento, per modelli agricoli fuori dal liberismo basati sui cicli corti e per la sovranità alimentare. Marce di disobbedienza con le comunità zapatiste in Chiapas, partecipazione al congresso delle comunità indigene con il Sub Comandante Marcos, manifestazioni contro il FMI a Praga, forme di disobbedienza nei confronti del WTO a Cancun e Honk Kong; le mobilitazioni a Ginevra, Salonicco, Nizza contro il trattato costituzionale europeo, lâattraversamento dei Forum sociali da Porto Alegre a Firenze, da Parigi a Londra al forum sociale del mediterraneo a Barcellona.
La partecipazione con una delegazione di disobbedienti europei in Palestina, lâincontro con Arafat ed i pacifisti israeliani.
Ivan Nardone appartiene a quella generazione di comunisti che il Segretario Nazionale Bertinotti ha definito âribelli e disobbedientiâ, una generazione cresciuta soprattutto dopo le drammatiche ma appassionanti giornate di Genova e che cerca di ridare spazio e parola alla politica in un mondo che sembra attanagliato totalmente dalla logica della guerra e del terrorismo, che vede la violenza e lâubbidienza al mercato come strumenti regolatori della vita.
Ivan Nardone oggi ricopre nel partito il ruolo di responsabile nazionale agricoltura fa parte della consulta agricola dellâUnione presieduta dallâOn Luca Marcora ha partecipato alla giornata sullâagroalimentare della â fabbrica del programmaâ con Romano Prodi ed è collaboratore del capogruppo al Parlamento Europeo Roberto Musacchio.
- Il settore primario del nostro paese passa da una crisi allâaltra. Le emergenze si susseguono, cosi pure i provvedimenti dâurgenza, quando verranno affrontati i nodi strutturali?
Il settore agricolo italiano vive una cristi strutturale senza precedenti che necessita di interventi radicali ed incompatibili con la politica delle emergenze continue e delle mance per la sussistenza. Abbiamo lavorato affinché il programma dellâUnione sullââagricoltura si aprisse con âLâUnione riconosce la funzione strategica del Sistema Agricolo Nazionale per la sua rilevanza economica, ambientale, sociale e culturaleâ. Il riconoscere da parte dellâUnione la funzione strategica dellâagricoltura è sicuramente un segnale di controtendenza e di novità di fronte al sentire comune secondo cui lâagricoltura altro non è che un settore marginale, arretrato e residuale da sacrificare sullâaltare della modernità della società post-industriale e dei servizi. Un segnale di controtendenza anche di fronte allâoffensiva di Blair e Barroso che nelle nuove prospettive finanziarie dellâUnione Europea riducono i finanziamenti allo sviluppo rurale ritenendoli un peso per la crescita.
LâItalia è il secondo paese agricolo produttore dellâUE e se osserviamo la dinamica macroeconomica dal punto di vista dellâintera filiera allargata lâagricoltura è tuttâora il primo comparto nazionale. Eppure queste performance si sono realizzate in un quadro di limiti e ritardi accumulati nel Paese per una assenza di una adeguata politica del settore. In un contesto in cui sicuramente tra mille sacrifici tante aziende agiscono nel rispetto della legge e soprattutto con coscienza rispetto al lavoro, lâambiente e alla biosicurezza troppe sono quelle che continuano a scaricare i costi della competitività sul lavoro e sullâambiente. Dal punto di vista del lavoro sono circa un milione i braccianti sotto pagati, sfruttati che non fanno notizia, senza contratto nazionale di lavoro. Lâagricoltura il settore produttivo con la più alta percentuale di lavoratori in nero, spesso migranti, che lavorano a volte in condizioni semiservili. Dal punto di vista ambientale i residui multipli dei pesticidi sulle verdure, sui vini, sulle bevande convenzionali sono casi frequentissimi, la somministrazione di sostanze dopanti per accrescere il peso degli animali è pratica ancora diffusa; sono decine di migliaia i polli ed i conigli sistematicamente allevati a colpi di antibiotici, gli allevamenti di pesce che inquinano le acque interne e marine sono purtroppo la maggioranza. Lâistituzione di una agenzia nazionale per la sicurezza alimentare si fa sempre più urgente.
Il settore agricolo deve farsi promotore di un percorso che integri la produzione del cibo, con la sua trasformazione e con il consumo, che investa risorse al di fuori del modello neoliberista del massimo sfruttamento del lavoro e dellâambiente. Basti pensare al valore sociale, ambientale e culturale dellâagricoltura biologica e biodinamica, allâagricoltura della lotta integrata, ai prodotti tipici liberi da OGM, che oltre ad essere prodotti basati spesso su varietà vegetali di nicchia e a rischio estinzione, sono anche portatori di ricchezza ad un tessuto produttivo basato prevalentemente su lavoro qualificato.
Da qui la nostra proposta di legge sulla sovranità alimentare e sul ciclo corto delle produzioni, come opposizione di fondo al dominio delle multinazionali e della grande distribuzione sempre più padrona con la politica del primo prezzo del potere di vita o di morte delle aziende agricole, nonché nellâobbligare cosa, come, quando e a quanto comprare ai consumatori, da qui lâinteresse ad approfondire la proposta del prezzo sorgente da affiancare al prezzo finale del prodotto, strumento che insieme allâetichettatura potrebbe avvicinare sempre più il consumatore ed il produttore. Spingere le pubbliche amministrazioni a favorire nella ristorazione collettiva pubblica prodotti locali, possibilmente biologici e lo stesso dicasi nel condizionare il rilascio di concessioni commerciali a quegli esercizi che garantiscano almeno in parte produzioni locali, cosi come favorire luoghi per lâesperienza dei GAS.
Il ciclo corto, la difesa della biodiversità , della diversificazione del cibo, della qualità delle produzioni, delle modalità e delle tecniche colturali è interesse collettivo ed economico dei produttori agricoli che possono così realizzare vantaggi economici altrimenti espropriati dal comando delle concentrazioni commerciale e dai possessori di brevetti.
- La dimensione media delle imprese agricole italiane è estremamente modesta inferiore a cinque ettari di superficie agricola utilizzabile. Ritiene questo dato una ricchezza o un problema?
Più che un problema o una ricchezza la dimensione media delle nostre aziende agricole è un dato di fatto. Con la riforma della PAC il disaccoppiamento totale e immediato (solo da noi avversato) garantirà un reddito cospicuo non più sulla base della produzione reale ma solo sulla base del possesso di titoli produttivi basati sul passato. Ciò sta comportando un continuo cedere di terre e quote di produzione da piccole aziende collocate soprattutto in aree marginali verso aziende di maggiori dimensioni che pensano di trarre reddito grazie alle economie di scala. Il problema non è di tipo dimensionale, non sempre infatti piccolo e sinonimo di migliore, basti pensare alla dimensione media delle aziende convenzionali di 5 ettari mentre la dimensione media delle aziende biologiche è di 21 ettari. I problemi sono lâesiguità di fondi destinati allâagricoltura di qualità , biologiche, tipiche, legate al territorio che ad oggi sono quelle potenzialmente redditizie e socialmente ed ambientalmente sostenibili. Lâaumento di produzione nelle aziende di grandi dimensioni con produzioni di massa apre comunque scenari poco confortanti per il futuro del nostro comparto agricolo. La globalizzazione dei mercati internazionali ci prospetta uno scenario in cui la Cina sta progressivamente âoccidentalizzandoâ la propria produzione agricola trasformandola secondo le esigenze dei mercati dei paesi ricchi, mentre continua la produzione vocata allâesportazione di commodities dei grandi paesi produttori ( Brasile, India, Australia etc). In questo scenario pensare che il nostro paese si presenti con un sistema concentrato sulla quantità e sulla produzione massale di commodities, invece che sua struttura produttiva vocata alla produzione locale, alla qualità , alla valorizzazione delle tipicità , non lascia ben sperare per il futuro.
- A fronte di una generalizzata diminuzione dei prezzi allâingrosso, la risposta data dalle istituzioni europee in testa, è stata promuovere le Denominazioni di Origine, il biologico, le certificazioni. Prodotti a valore aggiunto, che dovevano essere remunerati come tali dal consumatore. Non sempre è stato così, inoltre non hanno acquisito quote significative di mercato. Occorre percorrere una strada diversa? Se si quale?
La valorizzazione delle produzioni tipiche di qualità con un forte legame con il territorio sono un percorso importante ma insufficiente avviato dallâUE eppure, ancora una volta dal vertice del WTo di Honk Kong sono fallite le iniziative volte a tutelare le denominazioni dei marchi in sede internazionale. Le produzioni tipiche e di qualità inoltre non ricevono dalla PAC necessario sostegno. I fondi per lo sviluppo rurale quandâanche fossero condizionati al legame con il territorio delle produzioni, poco potranno incidere se permane un regime di quote di produzione per il quale un litro di latte destinato a fare burro concentrato industriale e un litro di latte munto sui pascoli destinato alla produzione di parmigiano reggiano o caciocavallo artigianale vengono contingentati e sovvenzionati con la stessa somma. Eâ inammissibile che le politiche europee di sostegno allâagricoltura non indirizzino i propri aiuti verso quei settori dellâagricoltura che maggiormente contribuiscono al benessere delle comunità e che invece continuano a sostenere le restituzioni alle esportazioni che provocano dumping e fame nei paesi più poveri. Eâ inconcepibile la politica di incentivo al consumo verso lâagricoltura di qualità e poi condannare con il tribunale europeo le Regioni che si dichiarino libere da OGM, cosi come è ingiustificabile sostenere il biologico e poi permetterne la contaminazione accidentale di OGM fino allo 0,9%. Così si tradisce la fiducia di potenziali consumatori che seppur in una situazione di carovita crescente manifestano comunque disponibilità verso produzioni ad alto valore aggiunto di qualità .
Ma non basta, siamo consapevoli che finchè verranno tagliati fondi allâagricoltura ed il cibo sarà considerata una merce qualsiasi da produrre ovunque nel mondo si trovino condizioni sociali ed ambientali favorevoli per poi vendere nel supermercato globale neoliberista non câè futuro e competitività per lâagricoltura europea e mediterranea, da qui la proposta di riterritorializzare i consumi a vantaggio delle produzione domestiche, dei cicli corti e ridurre al minimo le politiche per le esportazioni.
- Ritiene che le organizzazioni agricole siano ancora una forza propulsiva e di innovazione nel campo agricolo oppure oggi risultano imbrigliate da logiche politiche, estranee agli interessi degli agricoltori?
Le organizzazioni professionali meritano ovviamente il dovuto rispetto ma allo stesso egual modo non ce ne vogliano se riteniamo che con la totalizzante scelta di sposare la competitività a tutti i costi stentano ad interpretare qualsiasi idea alternativa del progresso agricolo. Più che lâessere imbrigliate da forse inevitabili logiche politiche preoccupa, come sempre più le organizzazioni professionali si siano ridotte a ruolo di erogatori di servizi senza che riescano a dare sbocco sindacale e vertenziale al malessere che sale e che esplode in forme autonome come dimostrano le cronache dal Nord al Sud. Sempre più gli operatori agricoli rischiano di essere soggetti senza rappresentanza ricacciati in nuovi corporativismi a stare ai margini dei luoghi dove si decide del loro destino. Fortunatamente anche in Italia sulla scia dei movimenti sociali che su scala globale rivendicano un âaltro mondoâ socialmente giusto ed ecologicamente durevole si stanno organizzando interessanti percorsi di partecipazione per unâaltra agricoltura che attraversano lâuniverso sindacale, professionale, delle associazioni, che vedono il coinvolgimento di sempre più comitati, mondo universitario, livelli istituzionali in un percorso sempre più ricco ed appassionante che può far solo bene alle stesse organizzazioni agricole.
- Lâetà media degli agricoltori nel nostro paese è mediamente elevata. Mancano i giovani e con essi idee nuove. Il comparto si è rinchiuso a riccio su se stesso e invecchia. Come attrarre, in un settore poco remunerativo, forze fresche? Quali misure concrete adottare perché nuove risorse intellettuali, culturali, finanziarie e professionali si occupino nel settore primario?
Con la crisi che sta attraversando il sistema agricolo nazionale, con il continuo abbandono di aziende per mancanza di reddito non è certo facile avvicinare i giovani allâagricoltura.
Con lo sviluppo industriale degli ultimi 50 anni si sono affermati inoltre concetti che i lavori legati alla terra siano lavori socialmente ed economicamente di seconda categoria, quando non addirittura marginali o meramente di sussistenza. I genitori hanno indotto i figli ad abbandonare la campagna, sognando per essi un destino migliore del proprio ma realizzabile solo in città . Sotto il profilo culturale questo fenomeno ha impoverito non solo lâagricoltura, la montagna e le aree dette marginali ma lâintera collettività . Saperi e sapori millenari tramandati da generazioni sono andati perduti, risorse umane imponenti per quantità e qualità sono migrate verso altri paesi e potenzialità di sviluppo sono rimaste inutilizzate. La nuova PAC è stata una occasione mancata per lâEuropa e per lâItalia soprattutto per lâinteresse dei giovani che avevano accolto con favore le dichiarazioni dellâex commissario Fischler quali Sviluppo rurale, sostenibilità ambientale, sostegno alle produzioni di qualità , equità verso il terzo mondo, più ricerca etc. Tali promesse sono via via svanite nelle successive versioni della riforma fino a divenire semplici dichiarazioni dâintenti. Con il disaccoppiamento lâUE pone poi le basi affinché gli agricoltori spesso anziani prendano sovvenzioni garantite come una sorta di buonuscita lavorativa e si pensionino anzitempo. Cio non potrà non aver ripercussioni sulla permanenza dei giovani nelle aziende agricole che era un altro degli obiettivi della riforma. Oggi le regioni nello stilare i nuovi piani di sviluppo rurale seppur con risorse limitate possono favorire un percorso di avvicinamento dei giovani con finanziamenti ad hoc per pratiche agricole virtuose non solo come strumento di politica agricola ma anche come strumento di intervento sociale, culturale, ambientale, turistico. Sul campo della ricerca si gioca inoltre una partita vitale per il settore. Lâagricoltura esprime un forte bisogno di orientamento, miglioramento continuo di processo e di prodotto, di adeguamento della capacità generale degli operatori di muoversi in un quadro generale complesso in cui compiere scelte produttive. A queste richieste fanno riscontro scelte di Governo che marginalizzano la funzione pubblica restringendo la capacità di realizzare relazioni utili con il ciclo produttivo nella logica del âlassair faireâ al mercato. Eâ evidente che proprio sulla capacità di investire in ricerca si gioca molta della possibilità di ripensare il sistema agroalimentare italiano e renderlo appetibile alle giovani generazioni.
- Stiamo vivendo probabilmente un passaggio storico. Al pari di quanto accadde, qualche decennio fa, con la prima Politica Agricola Comunitaria e le prime Organizzazioni Comuni di mercato. Oggi però si ragiona in termini globali, planetari. Câè la legittima paura che il settore agricolo venga abbandonato, non essendo più per i paesi industrializzati una importante voce del Pil. Ci dobbiamo aspettare il progressivo smantellamento, anche finanziario, della Pac e delle OCM? Il settore primario dovrà cavarsela da solo?
Nel discorso di insediamento come presidente di turno del semestre Europeo Blair si è subito scatenato contro i contributi agricoli della Pac. La teoria di Blair è molto semplicistica ovvero: i budget dellâUe finanzia con il 45% lâagricoltura che vede però solo il 3% degli occupati. La posizione di Blair, della Merkl etc non tiene conto intanto che lâagricoltura è uno dei pochissimi settori in cui vi è stato un trasferimento di risorse e di sovranità dai livelli nazionali a quelli europei quindi il 45% della spesa agricola altro non è che il 45% dellâ 1% del bilancio degli stati membri! In più seppur lâincidenza complessiva dellâagricoltura sul Pil sia modesta essa incide molto attivamente sulle attività indotte e collegate, la capacità di innovazione, il rapporto con i cittadini, la sicurezza alimentare, la qualità degli alimenti, il territorio, la sostenibilità sociale ed ambientale. Dallâaltra parte è evidente il ruolo dellâagricoltura in termini di ambiente e territorio dato che âgestisceâ direttamente 165 milioni di ettari, pari al 90% del territorio dellâUE. Un aspetto importante visto che sempre più i cittadini ritengono prioritaria la valorizzazione dellâambiente rispetto alla competitività e che la stessa UE punta seppur con molti limiti ad unâagricoltura che fornisca alimenti sicuri, di qualità e legati al territorio di origine. Altro punto da considerare è che lâagricoltura in tutti paesi cosiddetti avanzati in barba al mercato è sostenuta da aiuti pubblici: lâincidenza della Pac sul reddito degli agricoltori europei e infatti pari al 33% in Giappone del 56%, nella Corea del Sud del 63% in Svizzera, Norvegia e Islanda intorno al 70%. Ed è interessante il dato che nel regno del mercato ovvero gli Stati Uniti dove le condizioni ambientali, lâampiezza aziendale e le tecniche di produzioni sono tra le più favorevoli al mondo lâagricoltura è comunque sostenuta per valori pari al 18% del reddito. Questi contributi sono da tempo messi sotto accusa poiché impedirebbero a detta di molti ai paesi poveri di poter esportare le loro derrate alimentare nei ricchi mercati occidentali e quindi migliorare le proprie condizioni di vita. Vengono proposte quindi ancora una volta come ricette per consentire un equilibrato sviluppo del pianeta continue liberalizzazioni del mercato agroalimentare come soluzione ai problemi dei paesi poveri. Fortunatamente rispetto a questa tesi che sembra contagiare sempre di più il mondo politico Europeo, Americano, Australiano nonché delle nuove potenze agricole quali Cina e India cresce lâopposizione su scala planetaria dei movimenti sociali e perfino alcuni studi qualificati Francesi ( Inra) hanno messo in evidenza ciò che da tempo sostengono i movimenti sociali ovvero che la liberalizzazione dei mercati agricoli sarebbe utile per le grandi corporation agricole pronte a delocalizzare ovunque nel mondo e invece porterebbe un peggioramento su scala globale delle condizioni di vita di milioni di contadini.
Lâ Agricoltura per il ruolo sociale, ambientale, culturale, che ricopre non può essere lasciata al mercato e alle regole del WTO, facciamo nostro lo slogan dei movimenti sociali incontrati anche ad Honk Kong di come il cibo non è una merce e lâagricoltura deve stare fuori dal WTO. La buona agricoltura va sostenuta ovunque nel mondo, ma vanno riviste totalmente le modulazioni degli aiuti. E vergognoso che proprio i campioni del liberismo come gli Stati Uniti e lâUE abbiano imposto una accordo ad Honk kong che li vede finanziare le restituzioni alle esportazioni fino al 2013 continuando a provocare dumping e fame nei paesi poveri. Lâagricoltura europea ha bisogno di più fondi non di meno fondi ma non si possono continuare a sovvenzionare con le restituzioni alle esportazioni derrate alimentare senza nessun valore sociale, ambientale, culturale, a discapito di produzioni di qualità garanti dellâambiente, del lavoro della sicurezza alimentare. Eâ inammissibile che il 20% della grandi aziende europee si accaparri lâ80 dei contributi agricoli e che con la riforma della PAC il disaccoppiamento totale determinerà i presupposti per un ulteriore concentrazione della proprietà terriera dando luogo ad un circolo vizioso che emarginerebbe dal ciclo produttivo le aziende più piccole, spesso situate nelle aree del paese meno vocate allâagricoltura dove però svolgono un prezioso ruolo di presidio sociale, ambientale, culturale, democratico del territorio.