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ROSSANO PAZZAGLI, UNO STORICO PRESTATO ALL’AGRICOLTURA: “IL COMPARTO PRIMARIO È INTERESSE DI TUTTI, NON SOLO DEI CONTADINI. È NECESSARIO PRENDERNE ATTO”

Non si conosce ancora quale strada prenderà il mondo rurale. Le tendenze, a livello planetario, sono assai contrastanti: transgenico contro biologico, tipico contro globalizzato. Sono questioni delicate che richiedono una visione ampia in grado di abbracciare passato, presente e futuro. Secondo lo studioso toscano la “multifunzionalità non è solo una parola. Rappresenta il domani. E' la scommessa dell’agricoltura europea”

18 giugno 2005 | Alberto Grimelli

Rossano Pazzagli è nato nel 1958. Storico, laureato all'Università di Pisa nel 1983, è dottore di ricerca in Storia e civiltà dell’Istituto Universitario Europeo. Ha svolto attività di ricerca all’Università Europea e all'Università di Torino e attualmente è docente di Storia dell’agricoltura e di Storia dell’ambiente nelle Università di Pisa e di Firenze. È autore di numerose pubblicazioni di storia economica e sociale, riguardanti in particolare le trasformazioni del territorio e del mondo rurale nell'età moderna e contemporanea.
È direttore dell’Istituto di ricerca sul territorio e l’ambiente “Leonardo” di Pisa.
All’attività scientifica e didattica ha aggiunto l’impegno a carattere politico e istituzionale: è stato sindaco di Suvereto dal 1995 al 2004, Presidente del Circondario della Val di Cornia, membro del Consiglio delle Autonomie Locali della Toscana e del Consiglio Direttivo di ANCI Toscana.



- A cosa si deve il profondo distacco, una frattura, avvenuto immediatamente dopo la seconda guerra mondiale tra il mondo culturale e quello rurale?
A un certo punto l’Italia ha cessato di essere un grande Paese contadino, probabilmente ha cessato di esserlo anche dopo rispetto ad altre Nazioni europee, dove si è affermato il modello industriale. D’altra parte in Italia vi sono stati gli anni della dittatura fascista che hanno ritardato gli effetti di alcuni fenomeni come l’esodo rurale, la meccanizzazione, la prevalenza del modello urbano. Negli anni del boom economico, tuttavia, questi fenomeni sono esplosi. L’agricoltura perde, prima di tutto, una centralità economica, di conseguenza viene anche quel distacco tra la letteratura e l’arte e il mondo rurale. Da un certo momento viene visto come l’arretratezza mentre il mondo urbano come il progresso e la civiltà. I due modelli si divaricano, i mass media accentuano questa divergenza e gli agricoltori cominciano ad andarsene dalle campagne perchè vengono attirati nelle città. Ad andarsene sono le energie migliori, se ne vanno i giovani, le persone più istruite. Le campagne restano quindi nelle mani, in molte regioni, dei ceti più deboli. Questo ha generato un progressivo declino, o come definito da alcuni storici, un lungo addio del mondo rurale italiano.
L’esodo rurale è un fenomeno, prima di tutto, economico e sociale ma ha anche profondi riflessi culturali. Storici, sociologi ed economisti hanno studiato molto a posteriori questo fenomeno e paradossalmente è la letteratura ad accorgersi della situazione per prima. Lo stesso Pasolini, alla metà degli anni 1960, descrive in un suo scritto dell’inizio dell’inquinamento anche nelle campagne, con la splendida immagine della scomparsa delle lucciole. Questa espressione traduce, in modo letterario, ma molto efficacemente l’idea di un mondo che se ne è andato.
Questo abbandono delle campagne si è poi tradotto in un danno per l’ambiente e al paesaggio.
- A proposito di mutamenti, non sempre favorevoli, quanto il concetto di agricoltura tecnica e tecnologica ha influito sui fenomeni di degrado ambientale a cui abbiamo accennato?
La tecnologia ha aiutato molto l’agricoltura ma è stata anche una grande illusione. Abbiamo vagheggiato, per diversi anni, che la meccanizzazione e la chimica potessero mantenere un rapporto equilibrato con l’ambiente, così non è stato. La meccanizzazione e la chimica hanno fortemente sbilanciato questo rapporto, facendo entrare in conflitto ambiente e agricoltura, quando storicamente questi due elementi sono sempre stati in equilibrio. Dall’ottocento in poi l’agricoltura da produttore di risorse, sostanzialmente alimenti, si è trasformato in utilizzatore. Il bilancio energetico del comparto agricolo, nei paesi occidentali, è negativo ormai da molti anni, ovvero si consuma più energia di quanta non se ne produce. L’energia non è solo il carburante che si mette nei trattori ma anche quella necessaria per produrre concimi e fitofarmaci, per i trasporti e così via. Per produrre di più, come avvenuto da un certo periodo, abbiamo squilibrato il sistema. Agricoltura e ambiente non sono più in equilibrio.
- A proposito di tecnica e tecnologia. Pare proprio che in questi anni si sita assistendo a una spaccatura profonda tra filosofie e concezioni diverse di agricoltura. C’è chi vede un ritorno al passato, al biologico, al biodinamico, al rispetto assoluto per l’ambiente anche sacrificando anni di progresso scientifico e chi invece sostiene la tesi di proseguire lungo la strada dell’innovazione, convinto che la scienza fornirà tutte le risposte e le soluzioni ai problemi che si presenteranno. Ci possono essere punti concilianti tra questi due modelli e chi uscirà vincitore da questa disputa?
Non si tratta soltanto di rivedere la concezione di agricoltura. Personalmente ritengo che vada anche ripensato profondamente il modello industriale che, dal settecento in poi, è stato tutt’altro che sostenibile. Non ci si è posti il problema del futuro, delle successive generazioni. È stato un modello che ha fornito risultati sorprendenti per quanto riguarda le performance produttive ma non ha guardato avanti. Oggi c’è quindi la necessità, a livello planetario, di ripensare i modelli di sviluppo, sia agricoli sia industriali. Per quanto riguarda l’agricoltura non penso che bisogni ritornare ai metodi della nonna, credo che sia necessario andare avanti senza quella fiducia nel progresso illimitato che ha caratterizzato il ventesimo secolo. Si tratta di prendere atto delle contraddizioni che il modello di sviluppo ha generato e di utilizzare la scienza e la tecnologia e tutto lo scibile di cui disponiamo per ricreare una forma di equilibrio con le risorse disponibili. Il concetto di sostenibilità è questo. Non si tratta quindi di tornare indietro ma di utilizzare la scienza di più e meglio per un utilizzo più ragionato, consapevole ed equilibrato delle risorse del nostro pianeta.
Oggi siamo in una fase di transizione in cui un modello preciso non esiste, siamo alla ricerca di soluzioni che cerchino di limitare il danno. Non siamo al punto in cui possiamo già applicare una filosofia alternativa all’attuale. La domanda principe attualmente deve essere: come conciliare la moderna agricoltura, le esigenze delle aziende e degli agricoltori, con la necessità di tutelare al massimo l’ambiente? Se invece lo scopo della ricerca è produrre sempre di più a costi inferiori, qualunque siano le conseguenze, credo che non abbiamo capito la lezione.
- Quindi anche la ricerca delle multinazionali si incanala su una strada sbagliata, perchè persegue, anche per evidenti interessi economici, un modello di agricoltura che necessita di grandi input.
Certo perchè è un modello di agricoltura che si può praticare soltanto a spese di altri Paesi che abbiano riserve di risorse naturali ancora spendibili. Non è più pensabile che su tutto il pianeta si possa praticare un’agricoltura energivora. L’agricoltura ha una grande funzione e responsabilità, produrre alimenti, un elemento che non è possibile disconoscere. Ma ha anche un’altra forte particolarità, il suo stretto legame con il contesto ambientale, naturale sociale. L’industria può utilizzare gli stessi procedimenti in ogni parte del mondo, questo non può accadere in agricoltura, perchè questa ha bisogno di adattare tecniche, forme organizzative, strumenti, culture ai contesti fisici e naturali dove si opera. Non si può prescindere dal suolo, dal clima, dalla disponiblità idrica. L’agricoltura non potrà mai essere un settore completamente globalizzato, questa è la sua debolezza ma anche la sua forza. Questo significa anche invertire tendenze che la storia ha palesato. Per esempio la valorizzazione delle colture autoctone dei luoghi. Si è avuta una perdita notevole di biodiversità nel corso degli ultimi diecimila anni, oggi quindi l’agricoltura ha anche il compito di evidenziare e salvaguardare le diversità non solo botaniche o zootecniche ma anche culturali di ogni specifico areale.
- L’agricoltura non è più solo produzione, ma non è ancora qualcosa di diverso. Allora cos’è?
È una congiuntura difficile in cui i compiti dell’agricoltura non sono ancora chiaramente definiti. Nessuno, come già ricordato, potrà toglierle il ruolo di produttore di cibo ma la grande svolta è quando il mondo rurale ha cominciato a offrire servizi, come l’agriturismo. Credo anche che sia fondamentale compito del settore primario “produrre” qualità ambientale e paesaggio, in un momento storico in cui è avvertita fortemente questa esigenza. La multifunzionalità poi è questo, ed è la scommessa dell’agricoltura europea.
- Se l’agricoltura è anche produttrice di ambiente e paesaggio, come si concilia questa necessità con i profondi mutamenti indotti da certe politiche agricole comunitarie che, spostando i fondi, inducono a cambiare tipologie colturali nel volgere di pochi anni?
Occorre tenere sempre ben presente questo nesso. Il paesaggio è creato dall’agricoltura e dalla mano, dall’opera dell’uomo sull’ambiente, oltre che dai fenomeni naturali. Se le politiche agricole fossero soltanto economiche si otterrebbe un risultato casuale, quasi sempre negativo. La precedente Pac non teneva sicuramente in dovuta considerazione questo aspetto, mi pare che con la riforma che è stata introdotta siano stati fatti dei notevoli passi avanti. In ambito europeo è maturata una riflessione sul ruolo multifunzionale dell’agricoltura e sull’impatto che questa ha sul paesaggio, ma non solo, anche sulla salute umana, sicurezza alimentare.
Non sono pochi i compiti che vengono delegati all’agricoltura ma dovendoli riassumere in poche battute direi: approvigionamento di cibo, paesaggio e qualità ambientale, salute e sicurezza alimentare.
- Un’agricoltura multifunzionale di questo tipo deve però avere come fulcro la valorizzazione delle produzioni locali per sganciarsi dalle regole del mercato globale, delle commodities. Deve quindi avvenire un passaggio culturale che coinvolga tutta la società. Come possono gli agricoltori favorire questo mutamento? A chi possono appoggiarsi?
Chiaro che l’agricoltura non può essere solo interesse degli agricoltori, per le grandi responsabilità che questa ha. L’agricoltura deve divenire una questione di tutti. Per raggiungere questo scopo occorrono delle buone politiche, a partire dalle istituzioni locali fin a Bruxelles. Ma le buone politiche da sole non sole sono sufficienti. Occorre ridare dignità al settore agricolo, non solo dal punto di vista economico ma anche sociale e culturale, di status e di ruolo. Bisogna che venga riconosciuto e venga condiviso il profondo legame tra agricoltura e territorio, solo così si apprezza il valore dei prodotti agricoli. Se non c’è questa consapevolezza non valgono promozioni, pubblicità, politiche o leggi. C’è bisogno oggi di un grande lavoro di promozione dell’agricoltura e del suo valore storico, sociale e ambientale prima ancora di puntare sui suoi prodotti. Per far questo occorre sfruttare ogni canale o mezzo, dalle Istituzioni, ai mass media, alla cultura, all’arte e alla letteratura e, certamente, gli agricoltori non possono essere il soggetto passivo ma quello più attivo e propositivo, devono apportare, se non soldi almeno idee e progetti.