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Pr e uffici stampa in prima linea. Vince l’approccio ludico

Il mercato seleziona. Rimane chi ha più capacità, professionalità, versatilità, amore per ciò che fa e per ciò che rappresenta. Ad affermarlo è Alberto Pertile, di Alpe Comunicazione. Per lui non ci può essere spazio per la routine. (5. continua)

18 giugno 2011 | Luigi Caricato

Alberto Pertile, anima propulsiva di Alpe Comunicazione, è nato a Vicenza nel 1975. Nel 1988 ha iniziato a collaborare con “Cuore”, di Michele Serra, e con “Il Giornale di Vicenza”, di Mino Allione. Per undici anni è stato in pista tra radio, Tv, Internet e, soprattutto, carta stampata, fino ad approdare all’ufficio stampa e alle relazioni esterne in un contesto internazionale.

Dopo le testimonianze di Cinzia Montagna, Patrizia Novajra, Silvia Baratta e Michele Bertuzzo, prosegue la nostra inchiesta sullo stato della comunicazione agroalimentare in Italia. Per ora mi astengo da ogni considerazione personale. Lascio la parola agli intervistati. Al termine dell’inchiesta vedremo cosa emergerà di significativo, e soprattutto cerceheremo di capire in che direzione si sta andando e con quale stato d’animo.

 

ALBERTO PERTILE: “I Lehman Brothers son morti e noi no: potrebbe andar meglio?”

In momenti di grande crisi economica come quelli attuali, cosa sta accadendo sul fronte della comunicazione agroalimentare in Italia? Come stanno reagendo le aziende, e come invece le Istituzioni? Stanno riducendo sensibilmente i budget, oppure cercano di resistere perché ritengono che sia fondamentale e necessario proprio in tempi di magra continuare a investire in comunicazione?

La situazione generale è evidentemente drammatica. E’ sufficiente sfogliare qualsiasi quotidiano per rendersi conto del terribile calo della pubblicità. E non si tratta solo della carta stampata, ma anche del broadcasting radiotelevisivo. Essendo giornalista (peraltro, decisamente anticorporativo), ossia ritenendomi un mediatore, io non mi occupo abitualmente di media planning. Dato però che la voce di bilancio di aziende e consorzi è la medesima, ossia promozione e comunicazione, è chiaro che la posizione dell’ufficio stampa è un osservatorio privilegiato per i fenomeni in atto.

Il mercato seleziona. Rimane chi ha più capacità, professionalità, versatilità, caparbietà, orgoglio, voglia di rinnovarsi, amore per ciò che fa e per ciò che rappresenta e, non da ultimo, resistenza. In queso contesto, la metafora dei rari nantes vale per tutti, inclusi i comunicatori e i loro clienti.

Quando nel 2001 ho seguito la comunicazione in Italia dell’organizzazione internazionale Eutelsat, il secondo operatore di satelliti del mondo che da cooperativa intergovernativa di 48 Paesi stava per essere privatizzata, i primi a comperarne le azioni furono i fratelli Lehman...

Qualche anno dopo, da libero professionista, è successa una cosa sulla quale allora non avrei scommesso un centesimo: sono morti prima loro! Oggi, chi continua il suo viaggio, non lo fa più a bordo di un’arca lussuosa, con compagni di viaggio facoltosi; si va tutti a nuoto, in gurgite vasto...

C’è a chi piace nuotare e chi vi si adatta. Io mi diverto. Questo articolo lo intitolerei “PR (letto all’inglese, pi-àr) – Uffici stampa in prima linea”. L’approccio ludico è fondamentale, nella vita come nel lavoro. Alcuni sommelier stanno uccidendo il mondo del vino. Questi austeri cardinali arcigni, tutti nervosetti e nerovestiti, incutono soggezione e tolgono al vino ogni aura di baccanale. Per il consumatore medio sentirsi parlare di sudore di cavallo fin che beve, a livello inconscio fa più danni del far l’amore con una donna che finge. In entrambe i casi, c’è il rischio che si finisca a birre. Oppure si pagano fior di quattrini grandi guru, per dire “straordinario” ogni quattro parole...

L’evoluzione è tale per cui noi comunicatori dobbiamo ogni giorno cambiare lavoro, fare altro, sperimentare e rinnovarci. Non c’è spazio per la routine. La forma mentis impiegatizia porta a morte certa. Il lavoro è tantissimo: la domanda relazionale generata dalla comunicazione reticolare tende a saturare la capacità dei comunicatori. Termini come new media oggi fanno ridere, multimedia faceva ridere già ai tempi di Negroponte... A proposito: un giornalista vecchia scuola potrebbe intitolare quest’articolo “Sempre amaro mi fu quel Negroponte”!

Gli stessi clienti sono isole nella rete. Bisogna avere la fortuna di avere clienti che lo capiscono e che accettano di essere percepiti come tali. Oggi fra l’altro chiunque può comunicare in proprio, quasi senza limiti. Spesso l’unico limite alla comunicazione è rappresentato dalla necessità di far altro, con illustrissime eccezioni, come gli amici Dario Loison o Fausto Maculan. Eppure si può continuare a crescere, nell’evoluzione senza alcun risparmio; chi si ferma, invece, ça va sans dire, è perduto.

 

Tra i vari settori merceologici, sempre in ambito agroalimentare, qual è l’ambito più sensibile e ricettivo alla comunicazione?

Il vitivinicolo registra una contrazione costante che va di pari passo con il calo dei consumi e che ha avuto il suo punto di non ritorno nella riforma dell’Organizzazione Comune del Mercato vino della Ue. La nuova Ocm Vino ha distolto i contributi Ue verso la promozione nei Paesi terzi. Nel settore food, resistono le produzioni di pregio, fra le quali vi sono le Dop, che sono la punta di diamante del sistema europeo di tutela di prodotti e consumatori. Sono queste le produzioni che possono essere più interessate a comunicare le ragioni del differenziale di prezzo rispetto ai prodottti generici ottenuti magari da semilavorati. Fra queste ragioni la qualità sta al primo posto.

 

Qual è la soglia di investimento media da parte delle aziende? E quale, invece, quella delle Istituzioni?

Dipende dal progetto e dal mercato. In ambito mercato, inoltre, vi sono delle variabili impazzite: negli ultimi anni università ed accademie hanno sfornato decine di migliaia di comunicatori. Sono bravissime persone che però magari non hanno mai vissuto in una redazione. Diversamente, io per anni ho dato notizie, fatto Tv, radio e rete. La volta che uno dei giornali per cui ho lavorato è andato in stampa con una mia prima pagina dopo i test atomici di Mururoa, sono andato di notte a veder girare le rotative della Nuova Same ed il direttore dello stabilimento mi spiegò persino cosa sono i caucciù... Magari poi non sento la setola di cinghiale o il cavallo sudato in un vino, ma nel 2001 ho mandato in onda il presidente della Repubblica in diretta via satellite sulle Tv di Stato in Italia e in Canada con Rai Quirinale e la Fondazione Marconi. Ma poi, detto tra noi, siamo sicuri che il cavallo sudato o il cinghiale emozionato siano più interessanti di glicerolo e solforosa?

 

Al di là delle cifre investite, in ambito istituzionale quali sono le realtà più sensibili e attente? I piccoli o i grandi comuni, le province o le regioni?

Non ho relazioni professionali con le istituzioni: il presidio politico finora ha costituito per me una soglia e un deterrente allo stesso tempo. Per conto mio quando si parla di agroalimentare nel nostro Paese si dovrebbe guardare di più alla qualità, anche della comunicazione, e meno ai botteghini. Troppo spesso invece l’affidamento di incarichi di comunicazione istituzionale segue logiche di appartenenza, di fedeltà, o più semplicemente di paraculaggine. Questo è sbagliato perché al di là dei moralismi, anche i fascisti bevono vino e anche i comunisti hanno i denti...

Rispetto a questo, non perdo la speranza. I referendum sono stati un segnale di potenza “nucleare” che il popolo sovrano ha lanciato a tutta la politica. Ma non sono ottimista, perché sono certo che queste persone siano convinte di fare bene. Il mio parere di specialista è che sia un bene col verme. Mi ricorda quando, ai primi di settembre, i ristoranti in collina aspettano a braccia aperte i cacciatori della domenica. Queste brave persone adorano i cacciatori perché vedono in loro dei clienti. Non sanno quanti cittadini tiene distante dalle loro cucine la presenza nei boschi di uomini con il dito sul grilletto, pronti a sparare a qualsiasi cosa si muova...

 

Infine, i consorzi di tutela, quelli riferiti ai prodotti a marchio Dop e Igp: quanto investono in comunicazione, e in che modo investono? Ma soprattutto: investono bene?

Lavoro con Dop e Doc. Credo che i miei clienti non potrebbero investire meglio i propri danari, perché la loro comunicazione è presidiata con grande rispetto per i prodotti e per i consumatori. La crisi semmai ha reso tutti più esigenti. E’ un’opportunità in più di crescita professionale.

 

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