L'arca olearia

Dalla storia di Gaslini ai guai dell'industria olearia d'oggi giorno. Se il settore è in ginocchio c'è un perchè

La sansa potè essere utilizzata a scopo alimentare, per estrarne l'olio, grazie all'amicizia tra Gaslini e Mussolini. Da quel peccato originale sono nate le molte pecche del comparto, tra cui una classificazione commerciale ormai superata. Occorre una nuova normativa complessiva della filiera

09 gennaio 2015 | Mario Pacelli

Sto leggendo un recente libro sulla prima guerra mondiale pubblicato nel centenario di quei luttuosi avvenimenti quando un amico mi consiglia di leggere un documento dell’Assitol, l’associazione degli industriali oleari, di stretta attualità. Infatti nel testo si lamenta la penuria delle sanse da lavorare per estrarne l’olio data anche la propensione di molti frantoi a cedere quei residui di lavorazione delle olive per trasformarli in energia. Alla fine del documento si prospetta anche la possibilità della cassa integrazione per i lavoratori dei sansifici che, per mancanza di una adeguata disponibilità di sanse, rischiano di chiudere i battenti.

Per uno di quei misteri che governano le associazioni di idee al leggere il documento mi viene da pensare al bollettino della vittoria emanato dal generale Armando Diaz il 4 novembre 1918 e scritto da due giovani ufficiali destinati a diventare famosi (Ugo Oietti, poi scrittore e critico letterario, e Ferruccio Parri, il futuro presidente del consiglio) dove si parla delle truppe austriache che “risalgono in disordine e senza armi – si legge alla fine del bollettino – quelle valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”.

Nella società civile, quando fondata su solidi principi etici, non c’è da gioire se qualcuno, sia una persona che un’impresa, si trovano in difficoltà: i guai di uno sono i guai di tutti perché tutti finiscono indirettamente per esserne colpiti. Non c’è quindi da fare salti di gioia se gli industriali dell’olio si trovano in una non invidiabile situazione: ciò non esime però dal domandarsi se per caso di quei guai non ne siano essi stessi un po’ responsabili (naturalmente non come singoli ma in quanto categoria) ora che la crisi economica sta facendo venire alla luce un passato non sempre lusinghiero.

Forse non è inopportuno ricordare che originariamente la sansa di olive era considerato a tutti gli effetti un rifiuto destinato alla concimazione dei terreni o all’alimentazione animale: sia il decreto-legge n. 1845 del 1890 che quello n. 2033 del 1925 vietavano la vendita di olio ottenuto dalla sansa. Pochi mesi più tardi il decreto n. 1361 del 1926 ammise la messa in commercio di olio di sansa come oli di seconda lavorazione: che cosa era accaduto in pochi mesi perché le sanse da rifiuti divenissero sottoprodotti cioè residui di lavorazione utilizzabili a loro volta per ottenere un prodotto diverso da quello principale? La spiegazione è molto semplice: Gerolamo Gaslini, che già era titolare di una solida azienda che produceva olio di semi, aveva acquistato nel 1921 i diritti di sfruttamento di un brevetto tedesco che consentiva di estrarre olio da masse grasse, prima addizionandole con glicerina e poi raffinando il liquido ottenuto con una sostanza fortemente infiammabile (il solfuro di carbonio) sostituito poi dalla benzina ed oggi dall’ n-esanolo, che della benzina è uno dei componenti. Il brevetto era destinato alla lavorazione dei residui della spremitura meccanica dei semi oleosi: Gaslini lo utilizzo per la sansa e divenne ricco.

Gaslini era molto legato al presidente del consiglio dell’epoca. Non pago del primo successo ottenuto, presentò a Mussolini un articolato memoriale (“La questione dell’olio” 1929) in cui si sosteneva che la lavorazione delle sanse avrebbe consentito all’Italia di ottenere notevoli benefici, primo fra tutti la diminuzione dell’importazione dei semi oleosi. Un richiamo forte per Mussolini che già iniziava a pensare ad una economia nettamente autarchica caratterizzata dalla limitazione delle importazioni delle materie prime. Il memoriale, trasmesso al ministro dell’agricoltura per competenza, produsse gli effetti voluti. Nel 1931 il consiglio superiore di sanità, a quel tempo organo consultivo del ministero degli interni, che era competente anche per la sanità pubblica, decise che l’olio di sansa non era nocivo per la salute Conseguentemente la legge n. 378 dello stesso anno stabilì che l’olio di sansa poteva essere messo liberamente in commercio con la dicitura “olio di sansa commestibile” previa aggiunta del 5% di olio di sesamo. Cinque anni dopo (1936) altro parere analogo al primo del consiglio superiore di sanità e nuovo decreto legge (n. 1986) che introdusse per la prima volta la classificazione ufficiale degli oli di oliva includendo a pieno titolo tra essi l’olio di sansa.

Le conseguenze sul mercato dell’olio d’oliva furono devastanti: non era possibile per i frantoi oleari, che estraevano olio dalle olive, reggere la concorrenza dell’olio di semi e di quello di sansa. I prezzi crollarono. Il governo intervenne prima con provvedimenti a favore degli olivicoltori (la quotazione dell’olio d’oliva era ormai inferiore a quella dell’olio di semi) e poi contingentando l’importazione di semi oleosi. Ma ormai il danno era fatto: ad eliminare ogni possibilità di ritorno al passato intervenne anche l’acquisto di aziende agricole che producevano olio d’oliva da parte dei produttori di olio di semi e di sansa per limitare qualunque possibilità di riscossa dell’olio d’oliva.

Sopraggiunse la guerra con l’ammasso delle olive e la difficoltà di importazione di semi oleosi. Niente paura: al posto delle sanse, industriali disonesti utilizzarono qualunque grasso (il procedimento di lavorazione era identico) fino a quando, nel 1960, non fu emanata la legge n. 1407 che conteneva una nuova classificazione degli oli d’oliva. La battaglia parlamentare tra sostenitori e detrattori dell’olio di sansa fu durissima; alla fine, come spesso avviene, ebbero ragione tutti.  Angelo Costa, industriale oleario di prima grandezza (per il quale era olio quello estratto dalle olive) e presidente della Confindustria, riuscì a far inserire tra le categorie olio di oliva quella dell’olio vergine, mentre i sostenitori dell’olio di sansa – attraverso soprattutto il deputato Tripodi del MSI e con il consenso del relatore on.le Germani della Coldiretti – ottennero di inserire l’olio di sansa, originariamente escluso, negli oli commestibili. Fu una soluzione che salvò capra e cavoli e che si dimostrò tanto forte da superare anche l’impatto dei trattati CEE che nella sostanza si conformarono alla classificazione di olio d’oliva della legge 1407.

Fu probabilmente un errore: la commestibilità dell’olio di sansa, consentiva certamente una integrazione dei redditi degli olivicoltori e dei proprietari dei frantoi in quanto permetteva loro di avere un ricavato da un residuo di lavorazione, ma non teneva conto del fatto che, a parte gli effetti sulla salute dei consumatori, si trattava pur sempre della utilizzazione di quello che un tempo era stato un rifiuto ed era poi divenuto un sottoprodotto per produrre olio solo per una serie di fortuite circostanze ma che nulla escludeva potesse avere una diversa utilizzazione come difatti sta avvenendo.

Gli industriali oleari da quasi un secolo abituati a corrispondere un prezzo modesto per le sanse si trovano oggi a fronteggiare la concorrenza degli utilizzatori delle biomasse: non accettano la concorrenza e protestano così come hanno sempre protestato, anche per i motivi più futili, contro i titolari dei frantoi e protesteranno sempre contro chi, in un mercato aperto, tenda a limitare i loro profitti, le loro rendite di posizione, la loro possibilità di fare il buono e il cattivo tempo nella filiera dell’olio d’oliva.

E’ stato, e si sta dimostrando, un grave errore: quello dell’olio per l’alimentazione è un settore in cui c’è spazio per tutti se si rinuncia alla difesa, da tutte le parti, di posizioni ormai anacronistiche e superate. Solo così si potrà giungere alla definizione di una normativa complessiva della filiera, come si sta pensando di fare per il vino, incentivando la coltivazione delle olive, articolando la presenza sul mercato e tagliando i rami secchi (si pensi solo al contributo ancora dovuto alla stazione sperimentale per i grassi, istituita più di un secolo fa per studiare l’utilizzazione dei residui oleari nella produzione dei saponi, ma l’elenco potrebbe continuare a lungo.)

Con un po’ di buona volontà da parte di tutti si può uscire dalla “morta gora”.

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achille bennato

10 gennaio 2015 ore 19:22

mi sembra tutto fuori logo, adesso l'olio di oliva si deve difendere dalla sansa siamo alla frutta..per i frantoi la sansa non deve essere un costo ma bensì un ricavo, poi oggi la sansa si usa per le biomasse, come fonte di riscaldamento, si è ampliato la gamma, il vero problema...e che in italia come spesso accade si danno pochi soldi agli agricoltori e autostrade di opportunità agli speculatori..in italia si producono meno di 600000 tonnellate di olio, ma si consumano 600000 tonnellate di olio made in italy e si esportano come made in italy 600000 tonnellate...qui sta il problema, dobbiamo tutelare il made in italy,,,rafforzare il reddito degli olivicoltori quelli veri...che lavorano, producono e raccolgono e l'Ue fa il contrario...finchè ci sarà qualcuno che compra l'olio all'estero lo passa per italiano e l'italiano non coltiva più le olive...non ci può essere sviluppo, dobbiamo capire che c'è un costo per coltivare e un costo per raccogliere....ma a quale commissario Ue glielo spieghi...e sopratutto oggi chi si spende per questa categoria di agricoltori...

francesco sabatino

10 gennaio 2015 ore 18:52

Mi auguro che l'Assitol o altre associazioni di categoria le rispondono tecnicamente onde evitare che lei ripeta a scrivere cose inesatte ,
.

francesco sabatino

10 gennaio 2015 ore 18:47

Un chiarimento al di là della polemica va fatto:
il procedimento di estrazione dell'Olio di Oliva di Sansa greggio è l'identico processo di lavorazione di tutti gli Oli di Semi:
La raffinazione degli Oli di Oliva, di Sansa e di tutti i Semi è identica per tutti gli oli ,
Onore a Mussolini e a Gaslini.Un ringraziamento da Calabrese all'On: TRIPODI.

Sergio Enrietta

10 gennaio 2015 ore 09:10

Far risalire la colpa del buco nero in cui è finito l'olio di oliva, (tralascio volutamente ogni altra definizione teorica e indifendibile, almeno constatando i fatti) agli errori del ventennio mi sembra un po' azzardato.

A quel tempo si produsse anche il "caffè" con la cicoria, però finita l'emergenza non mi risulta che frotte di consumatori continuino a comprarlo.

A parte poi il concetto poco condivisibile, di buttare l'olio ancora nella sansa in "pattumiera" al fine di difendere un prodotto che per molte ragioni note e meno note, di cui si può parlare senza fare guerre intestine, e ragioni per cui è meglio non parlare ma che non fanno onore alla filiera produttiva, col solo fine di difenderla fine a se stessa non mi trova d'accordo.

Che differenza c'è se non in positivo dall'estrarre olio dalla sansa rispetto a semi vari?

Altro discorso è, siamo sicuri che abbiamo come Italiani (come usualmente ci vantiamo) quella cultura olivicola, che il nostro territorio e le nostre potenzialità varietali meriterebbero?

Se avessimo queste conoscenze a livello generalizzato il problema sarebbe già risolto da lungo tempo.

Avremo quella cultura quando nelle dispense e magazzini, non ci saranno più recipienti mezzi pieni.

Quando un olio "dolce" ossia non amaro, piccante, ecc farà storcere il naso.

Ad oggi mi spiace constatarlo, ma siamo all'opposto, piace ossidato, innocuo, devitalizzato, standardizzato, ecc.

Il problema secondo me sta solo li, perché appena il consumatore si accultura sull'argomento, hai voglia di blandirlo con la pubblicità.

Siamo ancora in tempo a fare i battipista della qualità vera, sta a noi fare quanto dovuto, o aspettare che altri paesi lo facciano, ormai la nave olio di oliva è partita, e non navigherà sempre nel Mediterraneo, quindi, o Italiano, o di qualche altro paese, un bel giorno sulle tavole comparirà a prezzo elevato, la bottiglia da mezzo litro, con il succo di olive scelte e ben definite.

E inevitabile, la bella addormentata non lo sarà per sempre.