L'arca olearia 27/01/2014

Il mondo dell'olio d'oliva è un covo di ladri. Parola del New York Times

Se un immagine vale più di mille parole, le vignette di Nicholas Blechman colpiscono direttamente al cuore. Il titolo poi è eloquente: “extra virgin suicide”. Non c'è bisogno di traduzioni. Eccoci arrivati al punto di non ritorno. Di fronte a imprecisioni e errori l'autore corregge ma la denuncia ne esce rafforzata. Siamo riusciti a spiegare meglio agli americani come li abbiamo e li stiamo fregando. Evviva!


Uno sceneggiato in quindici parti.
Quindici vignette che fanno più male di molti articoli, libri e querelle nostrane.
Una fotografia dello stato dell'arte del settore così brutale da colpire direttamente al cuore. Il mondo oleario italiano dipinto come un covo di ladri e farabutti, dedito solo a fare soldi truffando produttori e consumatori, con un finale scontato: il suicidio economico del settore.

E' quanto ha disegnato Nicholas Blechman, art director del New York Times Book Review sul più importante quotidiano internazionale in lingue inglese.

Le vignette sono ben congegnate e ottimamente costruite. Demoliscono in poche battute il mito dell'olio italiano negli Usa. Quello che comprate come italiano, si dice, proviene dalla Spagna, dal Marocco e dalla Tunisia e, spesso, viene adulterato con beta carotene e clorofilla.

E non mi si venga a dire che queste frodi sono superate, non esistono più. Sui mercati internazionali ancora sono presenti: Olio lampante con clorofilla a Taiwan. Certe frodi non tramontano mai. In Italia, è vero, si tratta di frodi residuali, fatte nei garage da piccoli truffatori che però riescono a spacciare quest'olio anche in ristoranti, segno evidente che in tema di cultura e sensibilità olearia abbiamo comunque ancora molta strada da fare.
Andando oltre i nostri confini, però, la situazione peggiora vistosamente.

Ho personalmente degustato oli venduti in Giappone e in Cina etichettati come extra vergini di brand italiani pesantemente difettati di morchia, muffa e riscaldo. Qualsiasi panel italiano non avrebbe difficoltà a classificarli come lampanti.
Il problema dell'Italia olearia è semmai che, dopo aver nascosto la testa sotto la sabbia, ora pretenderebbe di nascondere la sporcizia sotto il tappeto. Lo potevano ben fare. Articoli, inchieste e convegni non avevano, notate l'uso del verbo al passato, intaccato minimamente il loro business. La situazione è cambiata da pochi anni.

Hanno cominciato in Cina guardare con sospetto all'Italia. L'articolo di Berizzi su Repubblica ha fatto aprire gli occhi a più d'uno. In un paese dove le frodi e le sofisticazioni non mancano riconoscono a orecchio quando qualcosa non va. Hanno acceso un faro e sono cominciate a spuntare le magagne. Con pragmatismo orientale hanno condannato a 16 anni per frode in commercio un loro importatore. Uomo avvisato mezzo salvato.
Negli Usa, mercato di sbocco principale per il Bel Paese, la situazione è andata degenerando con minore velocità, anche grazie a una potente lobby di importatori e imbottigliatori, dove fanno bella mostra di sé anche marchi nostrani. Le inchieste dell'UC Davis e di Dan Flynn sono state ridicolizzate, il tentativo di imporre un marketing order fermato con un'imponente azione di lobbing, che si vorrebbe estendere anche al settore dei media e non solo. Il Naooa (North American Olive Oil Association), associazione di industriali e imbottigliatori, ha fatto recentemente visita, col supporto del Coi, proprio all'UC Davis. L'Università, come lo Stato californiano, è in bancarotta, il bisogno di finanziamenti impellente.
Ma torniamo alle vignette di Nicholas Blechman, che fanno il paio con le risultanze della Commissione parlamentare americana (US International Trade Commission) che metteva sul banco degli imputati gli extra vergini a prezzi di saldo.
Particolarmente dolorosa, da italiano, la vignetta che afferma che industriali e imbottigliatori godono di protezioni politiche tali che raramente i loro reati vengono perseguiti. Affermazione molto discutibile e che varca il limite del provocatorio.
Il finale è ancora più triste: “tutte queste frodi, comunque, hanno fatto scendere i prezzi dell'olio d'oliva. I malfattori hanno colpito prima di tutto loro stessi, commettendo un suicidio economico.” Una verità difficilmente confutabile.

Per quanto ancora si può pensare di nascondere la realtà? Come se le notizie, grazie anche a internet, non facciano ormai il giro del mondo in pochi minuti. Come se nessuno, a parte pochi addetti ai lavori, non abbia letto l'articolo sul Fatto Quotidiano contenente le intercettazioni telefoniche tra due italianissimi commercianti d'olio.
Per favore, non ostiniamoci a voler difendere l'indifendibile. Ogni tanto il settore mi pare simile a un bambino che ha rubato la cioccolata e, con il viso ancora sporco, cerca di convincere la madre di essere innocente.

NB: la traduzione delle vignette originali ha portato a qualche equivoco che è bene chiarire. Producers in inglese non significa produttore nell'accezione italiana ma letteralmente “fabbricante” e quindi assimilabile alle categorie di imbottigliatori e industriali. I produttori, nell'accezione italiana, vengono definiti growers in inglese.
Inoltre il nostro concetto di frode rievoca immediatamente la violazione di una legge. In Usa frodare il consumatore significa anche ingannarlo, pur non violando la legge. Sono sicuro che i “producers” italiani non abbiano infranto alcuna legge americana ma i consumatori si sono sentiti tratti in inganno, sentimento recepito dal New York Times. Per capire cosa accade quando un'azienda americana “froda” il consumatore si chieda a Apple e Adidas delle conseguenze economiche cagionate dagli scandali sulle condizioni di lavoro delle “loro” fabbriche in Cina.
Le legge va bene, ma che dire dell'etica?

AGGIORNAMENTO 31 GENNANIO 2014

Alcune vignette contenevano degli errori, imprecisioni che sono costate a Nicholas Blechman una valanga di critiche, anche giuste.

Come nella tradizione giornalistica americana se vengono commessi degli errori, questi poi sono correti. E' capitato anche alla striscia di vignette del New York Times.

Due le didascalie modificate, a spiegare meglio agli statunitensi come avvengono le frodi:

1) le bottiglie etichettate come extra vergine vengono poi dichiarate come "imbottigliate in Italia" o "importate dall'Italia". Si spiega che queste definizioni sono legali e che la provenienza dell'olio contenuto viene indicata in etichetta

2) si spiega che il 69% degli oli importati non corrisponde, secondo l'esame organolettico, a quanto indicato in etichetta

Si tratta di precisazioni dovute, per correggere imprecisioni anche piuttosto eclatanti, ma che non cambiano di una virgola la sostanza della denuncia del New York Times, che ne esce, anzi, rafforzata.

Siamo riusciti a far rettificare le vignette, è vero. A vantaggio dei piccoli produttori. Evviva.

Nella sostanza, però, abbiamo solo spiegato un po' meglio agli americani come li abbiamo e li stiamo truffando. Se per questo dobbiamo darci delle pache sulle spalle, bene. Io mi sento sempre più amareggiato.

di Alberto Grimelli

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Commenti 1

Gigi Mozzi
Gigi Mozzi
29 gennaio 2014 ore 10:00

Mamma mia: ma saranno vere le cose scritte, anzi le vignette disegnate, da questo signor Niu Iorc Taims ? Perché se sono vere, il titolo del pezzo è corretto, se non sono vere, dobbiamo prenderlo per i capelli.

Se sono vere a metà, o anche meno……….è comunque un bel pasticcio, perché allora, anche chi non fa la figura del ladro, fa la figura del palo: e da piccoli ci hanno insegnato che anche il palo è un ladro e, del resto, va in galera anche lui.

Per questo l'unico modo che abbiamo di non essere presi per ladri è quello di cambiare mestiere: nel senso di cambiare settore, cambiare segmento, cambiare mercato.

L’unica cosa che non possiamo fare è quella di cambiare argomento: l’italica storia dell’accanimento medianico, dopo quello terapeutico e quello giudiziario, ha fatto passi da gigante negli ultimi anni e, di solito, non si preoccupa di smentire minuziosamente i fatti, ma inventa i miracoli del cambio di argomento: purtroppo, con buona pace, cambiare argomento significa, nei fatti, confermare gli argomenti altrui.

E la chiamata alle armi, del boia chi molla, del ci siamo dentro tutti, del loro fanno di peggio, non serve a niente.

Serve invece isolare chi è scorretto: far capire che quel sistema (se c’è) non è il sistema del vero prodotto “made in Italy”.

Il problema non è quello di mettere i ladri in galera o di gridare più forte, convinti che il volume cancelli gli argomenti: il problema è quello di non essere confusi con i personaggi (se ci sono) indicati dal NYT.

il problema è che a differenza di tutte le altre categorie merceologiche, i contraffattori dell'olio extravergine italiano (se ci sono), non stanno in Brasile o in Cina o in Corea, stanno in Italia.

Non si chiamano Parmesao, che, in fondo, con il Parmigiano ha solo il prefisso: forse si chiamano extravergine di oliva e, domani, (se ci sono) sono pronti a confondersi, ancora meglio di ieri, dietro alle aziende che fanno quello che promettono e promettono quello che fanno.

Bisogna solo distinguersi. non è facile, perché non basta essere Doc, Igp, o garantire l’Alta Qualità o nominarsi Olio Artigianale o dichiarare il made in Italy.

Tutti questi sono elementi, indicazioni, caratteristiche, denominazioni, classificazioni di prodotto: aiutano, ma non fanno il mercato.

Fare il mercato delle Dop, delle Igp, dell’ Alta Qualità, dell’Olio Artigianale, del Made in Italy, è tutta un’altra cosa.

Grazie Direttore per la serenità con cui hai commentato la notizia: il tuo dovere lo hai fatto.

Adesso toccherebbe a chi, non riconoscendosi nelle vignette giornalistiche, dopo avere fatto un "buon prodotto”, si organizza a fare un "buon mercato”: le battaglie si vincono con i prodotti, le guerre si vincono con i mercati.