Editoriali

Le grandi potenzialità dell'olivicoltura italiana, se si fa squadra

06 dicembre 2013 | Elia Fiorillo

La domanda che mi si pone è semplice nella sua complessità. “Futuro dell'olivicoltura in Italia: progetti per rilanciarla o, almeno, per non affossarla”. Potrei parlare di tutta una serie di ipotesi di percorso, d'idee, che ci sono e non sono peregrine per rilanciare la nostra olivicoltura. Ma mi ha colpito nella domanda quel “o, almeno, per non affossarla”, che è un inciso parecchio eloquente. Nel senso che spesso i nostri comportamenti sono a tal punto contraddittori, anche se in buona fede, che diventano micidiali boomerang verso noi stessi, verso la nostra olivicoltura. Dobbiamo partire da qui, da come evitare di “affossare” la nostra olivicoltura.

Noi, in fatto di produzione, non siamo secondi a nessuno; il mestiere lo conosciamo bene. Siamo un po' tutti dei fuoriclasse, che pensano di far gol senza passare la palla. Ed il ritornello di quanto siamo bravi ce lo siamo ripetuto un'infinità di volte, fino a convincerci che non avevamo bisogno di nessuno. Potevamo andare in porta e segnare da soli, da veri campioni, senza bisogno della squadra. E, invece, più che mai oggi c'è bisogno di fare gruppo se si vogliono occupare spazi nei mercati emergenti. La “globalizzazione” non è una brutta parola. E' un cambio di realtà che va tenuto in debito conto, senza pensare di esorcizzare la questione o negandola, o ritenendo che essa non ci tocchi. Pensare di poter affrontare un mondo globalizzato con piccoli slogan ad effetto, o con manifestazioni che portano acqua demagogica al mulino di chi le organizza, ma che non affrontano le tematiche dell'integrazione nei mercati che contano, è follia. E' affossare le speranze di “futuro”.

Non possiamo andare più avanti con luoghi comuni che servono solo a giustificare nostre inadeguatezze. Uno dei temi che va sfatato è quello dell'elevatissima incidenza delle sofisticazioni nel settore, che creano – secondo questa tesi - concorrenza sleale determinando deprezzamento del prodotto sul mercato. I dati ufficiali dimostrano che le sofisticazioni sono nella media degli altri settori. I bassi prezzi di mercato sono riconducibili in primo luogo a: commodity indifferenziata, sistemi di produzione della concorrenza spagnola piu efficienti, investimenti in comunicazione troppo bassi. E' da quì che deve partire la nostra analisi per rilanciare, senza crearci feticci giustificativi. Eppoi, senza indugio, c'è da mettere mano al sistema produttivo del nostro Paese che è estremamente polverizzato e frammentato. E qui, la cooperazione può e deve svolgere un grande ruolo. Per non parlare dell'elevatissimo numero di frantoi che lavorano quantità limitate di prodotto con alti costi di trasformazione. Per converso, le nostre potenzialità sono tante, a partire, ad esempio, dalle molteplici ed uniche cultivar che ha il nostro Paese. Certo, bisognerebbe ripensare ad un Piano Olivicolo che non sia il libro dei sogni che tutti accontenta (o scontenta), ma che alla fine risulta “acqua fresca” per il rilancio dell'olivicoltura.

Il rapporto con l'industria non può continuare con scambi d'improperi senza costrutto, come se tutte le responsabilità sulle sofisticazioni, sui bassi prezzi e via discorrendo fossero annidate in quella realtà. Sedersi ad un tavolo e confrontarsi non è cosa semplice, perché bisogna capire anche le ragioni degli altri ed ammettere le proprie debolezze e responsabilità. Ma, un'operazione del genere, serve a fare squadra ed a “cacciare”, tutti insieme, chi gioca sporco, chi non rispetta le regole. Criminalizzando tutti si fa un favore grande agli imbroglioni, ai “ciurlatori nel manico” che non stanno in verità da una sola parte.

C'è poi l'Europa. Spesso noi, per tutelare le nostre produzioni, facciamo salti in avanti partorendo normative ad hoc che puntualmente l'Unione Europea ci boccia, creandoci non pochi problemi di credibilità sia all'interno, ma soprattutto all'esterno. Certo, è più facile fare demagogia con iniziative immaginifiche che apparentemente risolvono le questioni, ma che poi si dimostrano placebi inutili. Bisogna cambiare registro nei confronti dell'Europa. Le battaglie vanno fatte a Bruxelles, a Strasburgo e a Lussemburgo, partecipando a tutte le riunioni, facendo lobby con i parlamentari italiani di tutti i partiti. Una strategia del genere costa fatica e dà poca visibilità a chi la porta avanti, ma porta risultati.

Un ultimo esempio di come noi ci facciamo male da soli ci viene dall'Alta Qualità dell'olio extravergine di oliva. Da anni ci stiamo battendo per ottenere questo riconoscimento. Il nome “Alta Qualità” consentirebbe di sfruttare positivamente un vissuto creato dal “latte AQ”, le cui dimensioni di consumo e diffusione ci consentono di essere anche più efficaci nella comunicazione, in quanto andiamo a trasferire una definizione che è ampiamente sedimentata nella mente dei consumatori.
Molte Regioni si oppongono a tale riconoscimento ipotizzando ipotetici danni concorrenziali alle DOP.

Facciamo un pò di calcoli. Dalle produzioni rilevate da Ismea per le Dop, si desume che l’aggregato è molto disomogeneo. Non tutte sono cresciute, anzi molte sono regredite o sono tuttora ferme. Le prime 4 superano il 75%, le prime 8 superano l’86%. Questo significa che le altre 35 Dop rappresentano complessivamente il 14% del totale della produzione Dop, che a sua volta è solo il 2% della produzione nazionale. I dati parlano da soli. Per salvare un due per cento – che dal nostro punto di vista non regredirà con l'introduzione dell'AQ – chiudiamo i rubinetti a forti possibili incrementi dell'exavergine con parametri molto restrittivi. Se continuiamo su questa strada il declino è inevitabile.

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Donato Galeone

07 dicembre 2013 ore 19:13

Elia,
penso che non solo io - conoscendoti da oltre un trentennio - dovrei condividere le tue riflessioni del 2013 nel riconoscere le "potenzialità" dell' olivocoltura del nostro Paese.
Come anche tu sai, sono oltre 500 le nostre " uniche cultivar".
Un ricco patrimonio italiano che vuole essere adeguatamente valorizzato!
Se valorizzato, migliorando le produzioni e salvaguardando con il recupero degli abbandoni e la tutela dei paesaggi - come sono i terrazzamenti olivati di Vallecorsa, basso Lazio, che tu hai conosciuto