Italia 02/10/2004

VINO AMARO. PASTICCIO TELEVISIVO O TERRORISMO MEDIATICO? LA DISINFORMAZIONE E LE MANIE DI PROTAGONISMO DI CERTO NON GIOVANO

Ci risiamo. Con “Report” è andato in onda l’ennesimo tentativo di denigrazione dei comparti agroalimentari italiani, ma a beneficio di chi? Un atteggiamento così aggressivo e pedagogicamente errato può solo creare danni gravi, anche a distanza. A chi si è montato la testa consigliamo lo stile sobrio e qualificato di Piero Marrazzo


Audience, audience, maledettissima audience. Cosa si fa pur di colpire lo spettatore e guadagnare visibilità. Alla fine l’obiettivo lo si raggiunge per davvero e lo spettatore viene colpito con una immaginaria manganellata in testa, per stordirlo. E la chiamano informazione. E la chiamano battaglia a favore dei consumatori. Loro, quelli che ritengono essere dalla parte della verità, coloro che come profeti biblici del Duemila dopo Cristo stigmatizzano il lato immorale e cupo della società, le anomalie dell’economia e ogni ombra obliqua del passato, del presente e del futuro. Loro, i puri. Ma tant’è. C’è chi costruisce, chi mantiene e chi distrugge. I giornalisti di “Report” preferiscono distruggere. Sono la pars destruens, anche se finora da loro non abbiamo visto nulla di propositivo. Costruire implica fatica, anni di duro impegno con risultati sempre incerti. A distruggere basta poco, a screditare è ancora più facile. Il difficile è costruire e mantenere in piedi un mondo complesso, espressione di molteplici interessi che pure nell’arco di un ventennio si è saputo risollevare egregiamente dopo il crollo del caso metanolo. Sicuramente il mondo enoico ha bisogno di essere ridimensionato, perché gira troppa aria di esuberanza e di finzione, e troppo denaro con disinvoltura e arroganza: e non tutto ciò che si vede assume sempre il carattere della trasparenza, ma, si sa, le anomalie ci sono in tutti gli ambiti operativi e criminalizzare un settore demolendone le fondamenta è da incoscienti.
Certo, è vero, resta fin troppo divertente smontare un sistema. Perché non farlo, dunque? Così, dopo la caduta di stile con la trasmissione dedicata all’olio di oliva, “Report” ci ricasca di nuovo, questa volta con il vino, amaro. Loro, i puri, scendono in campo come se stessero affrontando una battaglia. E d’altra parte Milena Gabanelli – ch’è a capo di “Report” - ha raggiunto il successo professionale proprio in qualità di inviata di guerra. Non sa forse che nella vita di ogni giorno, là dove la gente lavora con onestà d’intenti, in campo come in cantina, non ha certo bisogno di denunce gridate e dagli esiti rovinosi, ma di servizi utili per il comparto, piuttosto. Sia il produttore serio, sia quanti a vario titolo vivono il settore enoico con spirito di abnegazione non possono certo essere depredati dei risultati delle proprie fatiche. Neppure al consumatore una denuncia così sproporzionata può portare qualcosa di buono. Ed è pure pedagogicamente errato un simile approccio, che avviene guarda caso proprio in un momento storico in cui una serpeggiante crisi sta già attraversando il settore, scuotendolo in modo pesante. Con ciò, sia chiaro, non si intende certo sottovalutare le riserve espresse su più fronti d’indagine, ma è semmai l’approccio d’insieme ad essere fortemente sbilanciato, con forzature che si potevano evitare.

L’impressione e il sospetto è che l’intero servizio è stato costruito sulla base di tesi, idee ed opinioni della redazione di Report che poi sono state fortemente sostenute e rafforzate attraverso sapienti montaggi volti a screditare la credibilità di taluni intervistati oppure fornendo informazioni capziose.
Hanno infatti fatto rilevare, come fosse una novità sorprendente, che il vino viene ottenuto con l’ausilio di coadiuvanti chimici e tecnologici.
Ma come - si è chiesto lo scaltro conduttore - una volta non c’erano tanti strumenti e il vino si faceva lo stesso. Peccato che questi fossero molto spesso chiaramente difettati, che, nella migliore delle ipotesi, sapevano d’aceto e avevano una vita media assai breve, trascorsa la quale risultavano imbevibili.
I processi di fermentazione vengono guidati dalla mano dell’uomo, enologo e cantiniere, ormai da molti anni attraverso lieviti (entità biologiche), sali nutrienti per favorire lo sviluppo e l’attività proprio dei lieviti e altri composti volti a modificare, a tutto vantaggio della qualità del prodotto finale, alcuni equilibri chimici. Vengono utilizzati materiali inerti quali bentonite o gomma arabica per chiarificare e rendere quindi maggiormente stabile e duraturo un vino. Il metabisolfito, che però viene aggiunto sempre in minori quantità, entra stabilmente come costituente, ovvero ingrediente, di un vino. Giusta e corretta quindi la battaglia, già vinta, perché la presenza del composto fosse inserita in etichetta ma perché richiedere, come ha fatto Report, che vengano anche indicati i coadiuvanti di processo. Conoscono i redattori della trasmissione la differenza, basilare, tra ingrediente e coadiuvante?
Intervistare un noto e famoso enologo, quale Riccardo Cotarella, per evidenziarne una fantomatico ruolo di machiavellico creatore del vino, al di fuori e anzi contro l’ordine naturale, significa voler imporre una propria visione di agricoltura che contrasta violentemente con la realtà. Legittimo, ma deve essere chiaramente comprensibile al pubblico che si tratta, appunto, di un’opinione personale.
Troppo confusa, troppo labile, troppo sottile la demarcazione tra le idee della redazione di Report e le notizie, le informazioni, i dati. Oggettività e soggettività possono anche trovare posto in un unico pezzo o servizio ma è proprio compito dello scrupoloso e professionale giornalista tenere ben separate e differenziate le due sfere.

LE TESTIMONIANZE
Ed eccoci a presentare due testimonianze. Iniziamo con le opinioni espresse da Franco Ziliani, giornalista tra i più significativi e liberi, che del vino oltretutto conosce luci e ombre come pochi, senza mai ricorrerere a fingimenti o a compromessi.

Franco Ziliani: un gioco al massacro
Proprio così: “E’ stato un gioco al massacro”, ammette senza mezzi termini Franco Ziliani. “Ci saranno state delle buone intenzioni, certo, ma il mondo del vino italiano è stato demonizzato e non ha avuto alcuna possibilità di difesa in una trasmissione a tesi, realizzata come se ci fosse, quasi implicita, la volontà di condannare il mondo del vino. Credo che un non addetto ai lavori, dopo aver visto la trasmissione, ci penserà bene prima di avvicinarsi al vino e a consumarlo con fiducia. Penso che tutto ciò farà molto male all’immagine e alla credibilità del mondo del vino”.
“Sono state dette cose vere – riconosce Ziliani – ma il modo con cui sono state presentate, e l’effetto complessivo, ha avuto esiti pericolosi. L’attacco agli industriali del vino, demonizzante, mi è sembrato un agguato. C’è stata poca serenità e credo che il mondo del vino abbia mostrato il suo aspetto peggiore. Non è stata fatta una bella figura. La critica alle guide è giusta, l’idea era anzi intelligente ma si è rivelata di una ingenuità spaventosa: è stato un po’ come fare una trasmissione sull’incendio nei boschi andando a sentire solamente i piromani. Inoltre, qualche maturo personaggio ha perso l’occasione di stare zitto anziché dire qualche scempiaggine”.
Insomma, ciò che si ricava nel complesso non è poi così esaltante: “In molti sono fuori da ogni grazia di Dio. C’è tanta rabbia per quanto si è visto. Proprio in un momento di grande crisi viene fuori che il vino sia qualcosa di discutibile e che i produttori nella migliore delle ipotesi o sono stupidi oppure sono disonesti, dei ladri e dei frodatori. Il tempo ch’è stato riservato al metanolo mi è sembrato eccessivo. Giusto, senz’altro, ricostruire e non dimenticare, ma mi è sembrato purtroppo un punto di partenza che ha viziato il resto del percorso”.

Denominazioni d’origine sotto accusa. Tutto un trucco, tutto un imbroglio a danno del consumatore? Sono i truffatori ad avere il mano il mercato delle Igt, Doc e Docg? Risponde Ezio Pelissetti, direttore del Consorzio Asti e membro del Consiglio di Federdoc.

Ezio Pelissetti: il sistema è sano, anche se migliorabile
“Il mondo delle denominazioni funziona, il sistema dei controlli è in atto, è operativo da tempo ed ha dato ottimi risultati – premette Ezio Pelissetti – nel dare garanzie al consumatore, nel dare certezza dell’origine. Questo è un fatto. Attenzione, non sto affermando che il sistema, così com’è, è perfetto. Come Federdoc ci stiamo battendo da anni per migliorarlo, per chiudere gli spazi a possibili truffe ed imbrogli. Però, in questo momento, minare la credibilità delle denominazioni d’origine equivale a denigrare e screditare il Codice della strada solo perché esistono persone che parcheggiano in divieto di sosta o passano col semaforo rosso. Un’assurdità.”
“Quello che mi ha più preoccupato, quando ho guardato Report, è stata l’impreparazione, anche di grandi ed autorevoli esponenti del mondo eroico italiano, di rispondere a semplici domande, questioni che verrebbero poste negli stessi termini da qualsiasi consumatore. È la mentalità che, in questo caso, va cambiata. Il nome e il marchio, senza fornire dati verificabili, non sono più elementi sufficienti a garantire il consumatore. Bisogna andare oltre e pensare a un sistema di tracciabilità/rintracciabilità, come viene già sperimentato da alcuni anni ad esempio nel Consorzio Asti e in quello Colli bolognesi, che permetta di risalire dalla bottiglia alla vigna che l’ha prodotta. Certi omissis, certe reticenze non sono più né accettate nè accettabili.”

di Luigi Caricato, Alberto Grimelli